Ricordi

ovvero quando ho trovato una storia in soffitta

 

Edmond Blutarsky nei panni di C, vola verso la luna

 

 

Sono giorni di feste natalizie per tutti. Ieri ero a casa con tutto il parentado quando ho deciso di avere bisogno di muovermi, sapete erano le 5 ed erano solo 5 ore che si stava seduti ad abbuffarci. Vado così in soffitta a recuperare delle bottiglie di vino, ne afferro alcune e una mi casca dalle mani, sfracellandosi su un baule subito sotto. Tra i moccoli, cerco una pezza per pulire poi, per controllare che tutto fosse pulito anche all’interno e che il vino non fosse passato, apro il baule e mi trovo faccia a faccia con i ricordi di famiglia. Gira e  cerca, cerca e ravana mi trovo tra le mani un vecchio, molto vecchio, quaderno appartenuto a un mio avo vissuto in Francia Edmond Blutarsky, che è diventato famoso con uno pseudonimo che non voglio svelarvi. Comunque leggendo quel manoscritto di più di un secolo fa, ho trovato un passaggio che mi ha fatto sentire parte della tradizione di famiglia.

DE G: Che c’è? Chi è quell’uomo? Chi è che vi manda in dono?

C: La luna!

DE G: Ma che dice?

C: Terrestre, che ore sono?

DE G: Ma che… non lo distinguo, ha perso la ragione?

C: Che ora? Che paese? Che giorno? Che stagione? Io sono stordito!

DE G: Messere…

C: Come una bomba io piombo dalla luna!

DE G: Come bomba?

C: Che piomba!

DE G: Sì, bene, e piombate! Potrebbe essere un pazzo.

C: E non è una metafora piombar nell’espionbazzo! Giù, per cent’anni oppur per un minuto, ignoro quanto a lungo piombando son caduto. Io ero in quella bolla colore zafferano. Che continente è qua, dove sono, a che piano? Non me lo nascondete! Ah, grand’Iddio, ma è vero che in queste latitudini portano il viso nero!

DE G: Come?

C: È Algeri? Siete un indigeno a passeggio?

DE G: È una maschera!

C: Allora o è Venezia o è Viareggio.

DE G: Una dama mi attende.

C: Siamo a Parigi, allora.

DE G: Lo strambo è alquanto strambo!

C: Ah, ah, ridete.

DE G: Finora. Fate passare.

C: Ed è a Parigi che ricado! Arrivo, per cui scusatemi, per un celeste guado un po’ impolverato di etere. Ho viaggiato! Gli occhi rossi di spruzzo d’astri, attaccato agli speroni avrò qualche pel di pianeta, to’, sulla mia manica un capel di cometa! Sfiorando il Tridente, evitai ogni sua lancia, ma alla fine sedetti su piatti di Bilancia, il cui ago al momento, lassù, segna il mio peso.

DE G: Per l’inferno!

C: Per il cielo sono salito e sceso!

DE G: Basta così!

C: Sì, basta con queste mascherate!

DE G: La maschera!

C: Non serve per sentire! Ora sappiate com’è la luna, e se qualcuno affonda il vomero nella rotondità di quel bianco cocomero…

DE G: No!

C: Ebbene, voi sappiate come ci sono andato! Fu grazie a un mezzo insolito, che mi sono inventato: hush, hush, indovinate?

DE G: È un pazzo!

C: La marea! L’oceano va alla luna al soffio che ella gli crea. Io, steso sulla sabbia, dopo un bagno di mare – e la testa ovviamente fu la prima a evaporare poiché i capelli zuppi si tengono al bagnato – mi sollevai nell’aria, dritto, dritto filato.

DE G: Conosco questa voce. Che vedo, sono sbronzo!

C: Passato il quarto d’ora, più intorno non vi ronzo: il matrimonio è fatto. Aprite, è Cirano! Brilla un anello uguale nell’una e altra mano.

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