Ai vostri tempi, non ai miei

Ovvero terza puntata del giallo che sta avvincendo tutta Casalpusterlengo.

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You’ve got an email disse una voce dal portatile dell’Ispettore Blutarsky. Alle due del mattino. L’ispettore fu certo che solo una persona avrebbe potuto scrivergli una mail a quell’ora, lui o lo spam. E dato che l’ispettore ancora non dormiva, decise di controllare.

Non era spam, era De Filippo. In allegato i testi delle lettere che avevano trovato in casa di Miss Lefty durante il primo sopralluogo. Tre i mittenti, quelli che sapeva e si aspettava: Gondola, Nutella e Kranz. Lettere d’amore e conflittuali, lettere dove Lefty non riceveva le risposte che, forse, cercava. Lettere dure, a volte, ma passionali. Lavoro, passione, lotta. Le lettere trasudavano questo. C’altro, pensò l’Ispettore. Le lettere avrebbero voluto essere passionali, ma all’ispettore sembravano replicare stereotipi. Era come se queste lettere fossero state scritte in quel modo, perché dovevano avere quella forma, non perché il contenuto lo richiedesse. Erano tre uomini che dovevano apparire, convincere gli altri che erano quello che pensavano di essere. Era solo un’intuizione, che ne sapeva lui, poi parlavamo di lettere, ma chi diavolo scrive le lettere oggi? E dov’erano le lettere di Lefty? A Lefty piacevano le lettere, questo lo sapeva, anche lui ne aveva ricevute e scritte. Sopratutto per le sue comunicazioni personali. Le mail, i messaggi, i social network, va tutto bene ma a volte ho bisogno che tu capisca come sto da come scrivo, ho bisogno che tu senta me, la mia mano che si muove sul foglio.

Blutarsky prese il pacchetto di sigarette e si alzò dal tavolo. È uno di quelli che per pensare ha bisogno di muoversi, di fare. La contraddizione tra pensare e fare è roba da fascisti pensò un giorno Blutarsky, l’azione deve essere preparata, e il pensiero non può che agire. Quindi, ma al contrario, è anche roba da ex sessantottini tutti dediti al pensiero fine a se stesso, a spaccare in quattro un capello teorico, a dividersi sulla forma priva di sostanza.

Diede uno sguardo intorno, la sala da pranzo del suo appartamento era pulita ma caotica. Fogli e foglietti si accatastavano ovunque, sopra i mobili, sopra la credenza Ikea, la cassettiera Ikea. Il tavolo Ikea invece era sgombro, non avrebbe mai sporcato con il cibo i suoi preziosi appunti, il pavimento pulito e, fatta eccezione per un po’ di polvere, l’ispettore era orgoglioso di come teneva la casa. Le rare volte che qualcuno gli chiedeva come facesse a vivere così, si vantava nel rispondere è disordinato non sporco. Aveva, negli anni, costruito un metodo di rotazione dei fogli, nel quale era necessario avere sempre un spazio vuoto da occupare per spostarli e pulire e poi rimetterli dov’erano perché li sapeva li avrebbe ritrovati, quello spazio era ovviamente il tavolo. E quando qualcuno obbiettava sul disordine l’ispettore rispondeva non è disordine, è diversamente ordinato, non hai le chiavi di lettura per orientarti, io trovo tutto. Che poi era una mezza balla, gli smadonnamenti nelle ricerche erano all’ordine del giorno, e quindi poi concludeva E poi fatti i cazzi tuoi. Forse era per questo che, ad eccezione di De Filippo, Blutarsky non avesse poi molti amici al Dipartimento. Guardò dove stava accumulando le carte del caso di Miss Lefty e si disse che doveva ordinarle, quelle del caso in corso erano sempre le più ordinate, sempre nella logica dell’Ispettore. Ma prima doveva prendere una birra dal frigo, il caldo lo stava sciogliendo manco fosse il giudice Morton. Attraversò pensieroso l’appartamento, facendo cadere un po’ di cenere della sigaretta in un posacenere passando dalla sala alla cucina. Entrato vide la pila di piatti sporchi della cena. Muovere il corpo aiuta a pensare. E prima di affrontare le lettere l’ispettore ne aveva bisogno. Tornò in sala, staccò il portatile dalla corrente e lo portò in cucina, qui mise su una musica che lo aiutasse a pensare. Poi aprì l’acqua, alle due di notte i vicini lo avrebbero certamente ringraziato. Cominciò prendendo le cose più piccole. Posate: perché Miss Lefty si era suicidata? Non c’erano lettere d’addio, e questo era strano. Alcune lettere strappate nel cestino, ricevute dagli unici tre uomini che ancora, ogni tanto, le davano lavoro e gli unici con i quali aveva dei rapporti umani, per il resto solitudine e rabbia nella sua casa o nel bar dei portuali, sola, a sentire i commenti razzisti, qualunquisti, a riempirsi del vuoto del popolo per il quale aveva cantato con tanta passione. Blutarsky passò poi a stoviglie di dimensioni più grandi, piatti: era certo si fosse suicidata? Ancora non aveva ricevuto rapporto dalla scientifica, non poteva essere sicuro nemmeno di questo. Ma il suo istinto gli diceva di no. Infine passò alle pentole: ma davvero il suo istinto gli diceva di no? Era sicuro del perché si stava imbarcando in una storia che sarebbe potuta essere solo una perdita di tempo? O forse non voleva accettare che Lefty si fosse uccisa? Lei, la donna vera, dura, forte. Lei, la donna che aveva amato. E che un giorno gli disse Anche per te io non sono che quella sul palco. E se ne era andata. L’ispettore sudava, anche dagli occhi. Mise l’ultima pentola sullo scolapiatti, si passò lo straccio sulla faccia, aprì il frigo e prese la birra e prese il primo accendino che trovò per aprirla. Prese al volo il tappo prima che ricadesse e lo buttò nel cestino. Fece un gran sorso, si avvicinò al portatile e con le mani ancora bagnate aprì la cartella dove aveva salvato i file su cui De Filippo aveva trascritto quello che era riuscito a leggere delle lettere che avevano trovato ne cestino della casa di Lefty.

Le lettere erano strappate in pezzi molto piccoli, e quel che vi era scritto si poteva solo intuire, De Filippo aveva fatto un bel lavoro. Al solito. Mixi Gondola giustificava se stesso e lo Smart Energy Loyal che gestiva per non poterle dare più spazio. Lo so che non sei Elisa, e lo sai che penso tu valga di più, ma devo accontentare almeno il pubblico. Lefty, a quel che si capiva, aveva rinfacciato a Gondola di non poter cantare come sapeva, Gondola le diceva che lei sembrava cercare lo scandalo e forse lei gli aveva risposto che a volte dare scandalo era necessario, aggredire gli spazi tra una nota e l’altra, imporre il ritmo, accelerare, arrochire la voce, non poteva non cantare così ma soprattutto non poteva continuare a cantare, edulcorate, le canzoni di quando erano giovani. Lo so che hai nuove canzoni Lefty, diceva Gondola, ma alle gente oggi non piace quello stile, duro, conflittuale, dobbiamo imparare a rivendicare senza urlare. Blutarsky si bloccò, Lefty aveva nuove canzoni? Gondola non gli aveva detto niente, e non era tenuto, forse, ma sicuramente qualcuno le vorrà pubblicare, ora. Blutasrky immaginò il Greatest Hits postumo e cominciò a sentire il formicolio dietro la nuca, quello che sentiva quando stava per chiudersi la vena, quella che permette al cervello di pensare.

Da piccole frasi qui e la che De Filippo aveva ricostruito delle lettere a Nutella, Lefty cercava di prendere le distanze da un uomo innamorato di lei alla follia. Una fitta passò nel cuore di Blutarsky, dopo un anno ancora e ormai senza nessun senso. Nutella era innamorato di immagine. Ripartiamo Lefty, diceva uno dei pezzi più grandi di quelle lettere, io e te come una volta, ti ricordi quando bastava che tu salissi sul palco per fare silenzio, per scacciare ogni paura e credere che la nostra musica avrebbe toccato il cielo?

Poi c’erano quelle di Kranz. Non mi servi solo per i volantini. Diceva un pezzo. Ma cosa vuoi prepararti più di così? Sono arrivati, li abbiamo affrontati, ste merde in divisa. Continuava un altro. Non ti capisco Lefty, forse sei invecchiata e hai paura di stare in certe situazioni, lo capirei.

Miss Lefty. Una donna vera. Una donna con due ovaie così. Perché avrebbe dovuto uccidersi? Lei non lo avrebbe mai fatto. O non lo avrebbe mai fatto la donna che l’ispettore immaginava? Quanti punti di domanda, troppi. Tutti uno in fila all’altro. Blutarsky si alzò e andò alla finestra. Sotto di lui passavano alcune macchine. La luce di un market aperto 24 ore poco più avanti, in lontananza il Carrè, il quartiere della musica, del conflitto, della commistione. Il quartiere dove Miss Lefty era cresciuta e diventata ciò che era. Prese il pacchetto di sigarette, di colpo ricordò. Vide le mani di Lefty e le sue cercare insieme il pacchetto, toccarsi, loro due ridere siamo due tabagisti di merda diceva lui, lei rideva e si accendeva una sigaretta. Perché di merda? Un modo di dire, si giustificava lui. Le parole sono importanti Franek, l’unica che lo chiamasse per nome, se dici di merda vuol dire che non ti piace, non ti va e allora non lo fare. Lui si scherniva dicendole che a volte uno dice delle cose così per dire ed è proprio in quel momento che si svelano i pensieri più segreti o le idee più concrete, lontano dal controllo, quando uno non sta a pensare a quel che gli altri giudicheranno quel che dice. Lui, offeso, le aveva detto che avrebbe smesso e, testardo, lo aveva fatto per un anno, fino a che lei non se ne era andata. Ma prima avevano fatto l’amore. Prima che lei se ne andasse ma subito dopo quella sua risposta testarda, e anche altre volte.

Il pensiero di loro due gli salì in gola. Ancora, dopo così tanto tempo, faceva male. Un anno era tanto o era poco? E ora che era morta aveva senso tutto questo dolore? La odiava a volte. Le aveva detto che sarebbe cambiato, che avrebbe capito cosa lei voleva. Lei rispose che era tardi, che quello non andava spiegato. Lui si era rifugiato in stereotipi sessisti, quando voi donne fate così e via dicendo. Lei si era intristita e se ne era andata. Non l’aveva più vista. Mai più a un suo concerto. Mai più nel Carrè per non incontrarla. Le sue mani. Non le avrebbe dimenticate, e sognava una resa dei conti che non ci sarebbe mai più stata. Le sue mani. Oddio. Le sue mani. La sua bocca. L’ispettore Blutarsky guadava fuori dalla finestra lontano, cercava di guardare nel passato, ma il passato non si può guardare, e insistere nel farlo serve solo a vivere in un tempo che non c’è più. Lo sapeva.

Ti amo.

La voce roca di Lefty invase la stanza. Blutarsky si appoggiò al muro, con la sigaretta all’altezza del viso ma senza aspirare. Si sentì ridicolo in quella posa da ispettore paninaro e si raddrizzò. Ma la voce di Lefty tornò ancora, e ancora. Il formicolio dietro la nuca diventava sempre più forte. Stava per cedere, quando ebbe uno scatto. Era confuso ma aveva già lottato contro la depressione. Quella che non ti fa alzare dal letto, che non ti fa lavare. Era stato De Filippo a tirarlo fuori. Ragazzo, finiscila, tutti abbiamo nu guaio con cui avere a che fare, fare a gara tra le sfortune è da sfortunati, da gente che si piange addosso, non per chi vuole reagire. Gli era servito, aveva reagito. Si era detto che lui era quello che era stato amato non solo quello abbandonato. Così ne era uscito, si insomma, così aveva reagito.

Blutarsky batté un pugno sul muro. Le sigarette non bastavano a calmarsi. Si infilò una camicia, prese le chiavi, il cellulare e, senza pensarci, la pistola e il distintivo. Uscì dall’appartamento al quarto piano e chiuse la porta. Scese le scale e uscì in strada, entrò al market dove, dopo due egiziani, il cinese lo guardò interrogativo.

-Un pacchetto di Lucky Strike-

-Subito Ispettore. Che ci fa sveglio a quest’ora?-

-Lavoro- tagliò corto e uscì.

Fumò una sigaretta mentre si allontanava. Non voleva seminare i pensieri, voleva ordinarli, quindi camminava spedito, senza correre. E pensava. Di colpo si trovò nel Carrè, non ci tornava da un anno. Io non sono solo quella sul palco. La voce di Lefty ancora dentro di lui.

Di colpo un’illuminazione. Non poteva più guardare Lefty come lei avrebbe voluto, ma poteva guardare i luoghi che avevano condiviso come quelli che erano. Alzò lo sguardo. E guardò il Carrè. Quello che doveva essere il quartiere della musica. La musica che era stata ribelle, che aveva aiutato a cacciare il sindaco Benitoni anni e anni fa, che aveva preteso la città cambiasse, migliorasse. Com’era ora? Che quartiere era? Si obbligò a guardare quel che non ricordava. Di colpo cominciò a vedere come il quartiere fosse cambiato.

Arrivato in Congo Square, la piazza che aveva visto i concerti non autorizzati bloccare tutto, fermare la città a volte, a volte resistere alla polizia che voleva interromperli, notò come tutto sembrasse plastificato. Tutto doveva essere apparentemente come allora, non era possibile negare che il Piper Demo Club fosse costruito sulle ceneri del Port Commune, ma cosa era rimasto di quello? Blutarsky gli girò attorno. Si, era sullo stesso posto, ma non lo riconosceva, non che l’avesse frequentato molto, suo padre e sua madre si erano conosciuti li, ma lui era nato tardi e aveva vaghi ricordi, giusto un pessimo Little Eye, che cantava di un cambiamento che non sapeva come spiegare. Poi notò che sempre più parti del Piper Demo Club ricordavano quelle del Demo Christ, un locale che stava molto più verso il centro nel quale si esibivano gli opposti di Lefty, cantanti come Andrew Eight ingessati e tranquillizzanti, narcotici. Che calmavano e invitavano a discriminare chi calmo non poteva starci. O almeno, così pensava Blutarsky, gliel’avevano insegnato i suoi genitori e le migliaia di libri che aveva letto e studiato, libri che tutti i suoi superiori gli sconsigliavano di mostrare e che lui non nascondeva ma non sbandierava. Cosa c’era ora al posto del Demo Christ? Controllò sullo smartphone e tra le crepe dello schermo, che per pigrizia da un anno non riparava, vide che non c’era più.

Dopo la chiusura per fallimento, nei primi anni ’90, i soci si dispersero cercando ognuno alla propria maniera di proseguire quell’esperienza. Ma nessun tentativo riuscì a tornare ai fasti del passato. Oggi una parte dei suoi soci è confluita nel People District of Liberty, l’altra nel Piper Demo Club.

Erano cose che sapeva bene, ma di colpo assunsero un nuovo significato. Riprese a camminare, attorno a lui un po’ di movimento, ragazzi con le bici a scatto fisso e vestiti che probabilmente pretendevano di essere dismessi ma erano costosissimi e barbe lunghe acconciate per sembrare non curate, tutto gli sembrava scimmiottasse gli anni del Port Commune ma mancava qualcosa. Girò l’angolo, qualcosa sul muro del PD Club lo attirò.

-Non era il cuore, non era il cuore, tralalalla tralallaleru, non le bastava quell’orrore, voleva un’altra prova del suo cieco amore-

Un ragazzo con una chitarra stava cantando una delle canzoni preferite di Blutarsky e qualcuno lo stava ascoltando. Pochi in realtà, ma il ragazzo si impegnava come fosse davanti a un intero stadio, ed era anche bravo. E stava sfidando il Piper, non si poteva suonare per strada nel Carrè era legge non scritta imposta dal Piper Demo da qualche anno a questa parte, e realizzarlo ferì in profondità l’Ispettore, che sentì sempre più incalzante la necessità di qualcosa di forte da bere e, perché no, da fumare, quel tuffo nel presente lo stava tramortendo. Il formicolio nella nuca ormai era diventato così forte che l’ispettore in effetti aveva perso contatto con il resto delle persone che aveva attorno ad esclusione di quel ragazzo che cantava, si sentiva come sonnambulo.

manoconboccaurlante

-Che cazzo fai!-

Una voce roca, brutta, interruppe i pensieri dell’Ispettore e la canzone del ragazzo, gli spettatori si liquidarono. Lo risvegliò, mai risvegliare un sonnambulo. Si sentì un clonck, o forse lo sentì solo l’ispettore, era la vena che si chiudeva definitivamente.

-Ma niente.. canto-

-Qui non si può aria!- rispose il buttafuori del PD Club e diede un calcio al piattino in cui qualcuno aveva buttato qualche spicciolo.

-Ok! Ok! Calma, mi sposto…- disse il ragazzo chinandosi per raccogliere gli spicci e le sue cose.

-Te ne devi andare fuori dai coglioni!-

-Oh! Calmo…- pam primo schiaffo sulla faccia del ragazzo.

A quel punto a Franek Blutasrky, detto Bluto come un suo lontano zio famoso senatore della Repubblica, si chiusero tutte le vene del cervello e cominciò a camminare verso la scena. Il ragazzo, tramortito cercava di raccogliere la sua roba e di ribattere, pam secondo schiaffo, pam passo più veloce. Pam terzo schiaffo, pam passo molto frettoloso. Quando Blutasrky arrivò nei pressi e venne inquadrato dal buttafuori cercò di sembrare solo uno di fretta, non guardava. Il gorilla lo squadrò per capire. Quando Blutarsky fu a due passi, il buttafuori disse

-Aria dai, anche tu…-

Il gomito di Blutarsky lo colpì in pieno sul naso mentre l’Ispettore lo superava, con tutta la foga di quello che stava realizzando in quel momento, con la forza di tutta la falsità che aveva trovato attorno, e con l’odio di uno che si sente tradito, con il dolore per la morte di Lefty e la rabbia perché lei lo aveva lasciato e lui non se ne era ancora fatto una ragione. Diritto sul naso e poi a terra e a quel punto Blutasrky non capì più nulla. Cominciò a tempestare di calci il buttafuori e quando questo cercava di rialzarsi gli tirava dei pugni in faccia così forte che, dopo, avrebbe avuto le mani così doloranti da non riuscire a chiuderle. Fare lo sbirro almeno gli aveva insegnato a fare a botte, quello e il fatto che era stato uno sbirro di strada. Il buttafuori tirò un calcio da terra a Blutarsky, e riuscì a rialzarsi, ma questo gli si avventò contro di nuovo prese un paio di pugni sulle reni ma gliene assestò un altro paio al mento e poi ancora un paio di calci a terra, non aveva più nessuna vena aperta. Arrivarono altri buttafuori, e Blutasrky usò il suo potere, lasciò perdere il primo, che era una maschera di sangue.

-Polizia!- urlò tirando fuori il distintivo e mostrando la pistola nella fondina sotto l’ascella, era completamente impazzito, rischiava il posto per una scenata del genere.

Gli altri buttafuori si fermarono.

-Prendete ‘sta merda, fate quel che vi pare, non me ne frega davvero niente, ma la prossima volta che vi arrogate il diritto di menare uno che suona per strada, vi ammazzo uno per uno! Chiaro?!-

Si spostò, aveva le mani sporche di sangue, assestò un calcio nello stomaco al buttafuori ancora a terra e una bustina cadde sull’asfalto. Si chinò, la raccolse, ci tuffò il dito e se lo mise in bocca ricoperto di polvere bianca. Bingo, la sua assicurazione.

-Fa pure cagare, a questo punto ve ne andate e mi ringraziate pure per non portarvi via tutti e far chiudere il locale-

-Ispettore, non si allarghi, lo sa che locale è questo?- disse quello che forse era il capo

-Si, tornaci dentro e ricordati che il locale conta, tu non conti un cazzo-

alessandra-casali

Il malcapitato venne rialzato e portato via, Blutarsky si girò e vide il ragazzo ancora con la chitarra che lo guardava con occhi spalancati.

-Non so se ringraziarla o avere paura-

-Che ci facevi qui?!- Blutasrky aveva ancora l’adrenalina in corpo e spaventò il ragazzo con una domanda che voleva essere sincera ma parse una minaccia.

-Niente… niente, io cantavo..-

La paura del ragazzo fece riaprire qualche vena a Blutarsky

-Scusami. Ma lascia perdere qui, non è posto per suonare- disse di colpo triste.

-Perchè? Dove sta scritto che non posso?-

-Vedi un tempo…- iniziò Blutasrky

-Scusi, Ispettore, ma a me di un tempo non mi interessa niente. Questo è il tempo in cui vivo, e secondo me è giusto che io possa stare qui e ci sto, qui o da un’altra parte devo comunque lottare per avere il mio posto-

Blutasrky di colpo si sentì un idiota con i suoi tuffi nel presente, con il passato, con la rabbia, tutto.

-Hai un pezzo di carta?- chiese al ragazzo e gli lasciò il suo numero di cellulare Non si sa mai disse.

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Miss Lefty non canta più

Ovvero seconda puntata, qui la prima jazz

Ma che ti frega di quella vecchia carampana? Ci si può offendere e arrabbiare per qualcosa che si è pensato? Si, perché magari non si vuole ammetterlo. E così l’Ispettore Blutarsky avrebbe voluto dire alla Capa del Dipartimento, Cyrus, che sarà stata anche una carampana ma non è che possiamo indagare solo se la morta era una bella figa. Che, probabilmente, lei invece stava lì solo perché era una bella figa. E questo non sarebbe nemmeno stato giusto, che ne sapeva lui se Miley Cyrus, laureata e da sempre dentro la polizia, fosse a capo del Dipartimento solo perché molto carina? Era a Capo del Dipartimento da meno di 6 mesi. Poteva che si, poteva che no.

E in effetti Blutarsky non sapeva che dire quindi non disse niente a riguardo ma chiese 24 massimo 48 ore perché secondo la scientifica c’erano stati tre uomini nell’appartamento della deceduta, che la scientifica aveva dei dubbi. Insomma si era invitato delle balle, solo perché voleva essere sicuro che Miss Lefty si fosse veramente suicidata. Perché non lo era, sicuro.

-Va bene Blutrasky, le do 48 ore, non di più che non possiamo sprecare energie-

Sprecare energie per fare il mio lavoro al meglio? Pensava Blutrasky, ma comunque non aveva nessun motivo per incazzarsi con la Capa. Ma lo avrebbe voluto. Perché era così nervoso? Ringraziò, uscì echiamò De Filippo

-Allora? Novità?-

-Blutà! Novità? Mah-

Silenzio

-Mah… che vuol dire?- chiese l’ispettore

-Che le lettere sono di Miss Lefty, alcune sono state strappate e altre tagliate ma comunque irregolarmente, le parole che mancano sono state perse negli strappi-

-Tu hai mai strappato delle lettere, De Filippo?-

-Si, quanno chell’allà m’ha lassato-

Chiesta la traduzione, Blutarsky aggiunse

-A chi erano indirizzate quelle lettere?-

-Questo non è ancora del tutto chiaro. Ma Cyrus te l’ha dato il tempo?-

-Si. Abbiamo 48 ore. Cerca di capire a chi sono indirizzate io intanto…-

-Una è indirizzata a Mixi Gondola ed è del mese scorso-

-Ne sei sicuro?-

-Certo Blutà, che sono uno che parla a vanvera, io?-

-Che dice?-

-Che non può andare avanti così, lo spazio che le danno è sempre più piccolo e che lei non può accettare le elemosina che le fanno-

-Poi?-

-Poi niente, è strappata, e non ho ancora trovato le parti restanti-

L’Ispettore Blutarsky decise che sarebbe andato a parlare con Gondola. Chiese a De Filippo di raggiungerlo in macchina allo Smart Energy Loyal, uscì dal Dipartimento e chiamò un taxi.

Lo Smart Energy Loyal è il nuovo locale che Gondola ha aperto da qualche tempo. Sta ai bordi del Carrè e da tempo Gondola sta facendo di tutto per attrarre i frequentatori del Piper Demo Club. Almeno quelli che cominciano a stancarsi dell’ambiente da locale del centro, fighetto. Mentre il taxi lo portava verso Gramsci Park, da dove parte la Fifth Avenue dove si trova lo Smart, l’Ispettore Blutasrky pensava all’ultima volta che era stato al Piper. Erano passati ormai diversi anni, era andato con De Filippo e O’Malley, fuori servizio giusto per bersi una birra e rilassarsi. Entrati De Filippo era scoppiato a ridere perché qualcuno sotto l’insegna, tra le lettere P e D aveva aggiunto orco e io e un poveraccio di paki stava pulendo di gran lena prima che arrivasse la massa dei clienti. Blutarsky e O’Malley avevano chiesto spiegazioni e, una volta ricevute, mentre al polacco era scappato un sorrisino, la cosa aveva indignato O’Malley. Che se ne era lamentato per buona parte della prima birra. D’altronde un cattolico irlandese può bestemmiare ma non può accettare che altri lo facciano, lui si giustifica col prete e deve chiedere agli altri di non offendere le sue orecchie che se non fosse colpa degli altri lui mica bestemmierebbe. Poi avevano parlato della prossima partita degli Warriors e di come Curry fosse l’incarnazione di Pete Pistol Maravich. Blutarsky si era guardato intorno e si era trovato di colpo a disagio. Le pareti esponevano ancora le foto dei grandi cantanti che avevano attraversato la storia del Piper prima o dopo il cambio di nome, prima era il Port Commune Internationale, poi aveva cambiato tre o quattro nomi. Non si era tanto fermato a pensare se gli avventori conoscessero Pal Myr o lo stesso grandissimo Gramsci che avevano cantato e suonato su quei palchi. Certamente li conoscevano, quelli che non li conoscevano probabilmente in quel momento sarebbero seduti al Grasshopper, o al Force Imperium o al Legs o chissà dove. Quel che non capiva era come chi ascoltava Aldous Moore e Gramsci potessero pensare che la musica dei due artisti potesse essere evoluta in quello che adesso stava ascoltando. Sul palco i Ku Pearl, con alla batteria il solito prezzemolesco Diale Man, suonavano ancora sempre la stessa canzone, che ormai dello stile di Gramsci e Pal Myr non aveva davvero nulla. Dopo di loro, alla seconda quasi terza birra, salirono i Younganardi e ancora Blutarsky si chiese cosa ci facessero lì. Poi si accorse che nessuno, o molto pochi, stavano ascoltando la musica, erano lì e basta. Perché ci andavano tutti. Era possibile cambiare questo stato di cose? Era diverso quando c’era il Port Commune?
Lo stile di Gramsci era incredibile. Gramsci con la tromba faceva vibrare le finestre, bastava lui solo a scatenare la folla. Blutrasky non lo aveva mai visto dal vivo, ma aveva molti suoi mp3 e vinili a casa, a volte, quando era giù, quando un caso difficile lo stava facendo impazzire, tornava a casa e metteva sul Tubo un video di qualche suo concerto, certo erano molto pochi, e quando lo vedeva sdraiarsi sul palco e morire dentro quella tromba dalla quale uscivano delle note che gli facevano venir voglia di muoversi, uscire, fare, ecco in quel momento del video Blutarsky si concentrava sulla folla che lo ascoltava. Non sapevano, probabilmente di vivere un momento che sarebbe considerato storico, ma sapevano che quel concerto era fondamentale. Per loro in quel momento. E forse anche per il futuro della musica. C’è un video su youtube dove un giornalista ad un certo punto chiede ad un ragazzo cosa ci facesse lì e perché si agitasse così tanto. Il concerto si svolgeva prima dell’apertura del Port Commune, era ancora al New Order, un localaccio che era stato aperto anche da Gramsci stesso, dopo che al Port Sociale gli avevano vietato di suonare, troppe droghe, troppa agitazione, rovinava i rapporti con la polizia. Ebbene quel ragazzo intervistato dopo che davanti al palco di Gramsci si era scatenato e ribellato rispose così al giornalista che incredulo gli chiedeva cosa lo avesse spinto a dimenarsi così:

-perché sta roba parla di me. Che ne sai tu, nella tua casa bella, di cosa vuol dire svegliarsi quando è ancora buio, di non essere pagato quando sto a casa malato, o di rischiare la morte perché un tizio con la cravatta più bella della tua possa prendersene una ancora più bella? Bè io quando sento Gramsci con la sua tromba è come se mi montasse dentro la rabbia per tutto questo ma non ho voglia di spaccare tutto e basta, ho voglia di prendermi quel palco come fa lui, ho voglia di cacciare i parrucconi con le loro band tranquille che parlano solo d’amore. È come se se dicesse per me cose che io non so mica dire. Le ha dette lui, le dice con la sua tromba, ovvio che non è mica che le dice davvero, ma è come se le dicesse-

Preso da questi pensieri l’Ispettore arrivò al locale ma prima di entrare fece un giro per il parco poco distante. Arrivò alla statua di Gramsci. Fece un giro attorno e non guardò la statua ma chi stava nel parco come lui. Il grande trombettista jazz, avanguardista come pochi in quegli anni, i suoi assoli sdraiato sul palco avevano scandalizzato benpensanti e avventori, ma erano piaciute ai ragazzi che ne avevano colto la carica eversiva, una carica eversiva che né i Ku Pearl, né i Younganardi avevano nemmeno lontanamente, anzi loro erano rassicuranti. Ad un certo punto Blutasrky ebbe un’idea, ci fu mai un duetto tra Miss Lefty e Gramsci o Pal Myr? Ma in quel momento vide Matthew Ponzie entrare allo Smart Energy Loyal e ne fu incuriosito. Ponzie era uno dei soci del Piper e si diceva stesse tentando di prenderne le quote di maggioranza. Decise di seguirlo, probabilmente non avrebbe scoperto niente di interessante. Ma chi poteva dirlo. Mentre si incamminava verso il locale chiamò De Filippo.

-De Filì-

-Blutà lascia stare che a te l’accento napoletano proprio non viene. Dimmi che hai bisogno, mo’?-

-Cercami i duetti tra Miss Lefty e Gramsci o Plamyr-

-Che non te li ricordi?-

-Certo ma voglio sapere i contorni, che accadde dopo e durante il concerto?-

-Vabbuò ma ti devo raggiungere prima o dopo averlo cercato?-

-Hai scoperto qualcosa di nuovo sulle lettere?-

-Si-

-E allora prima mi raggiungi e poi fai la ricerca, tanto puoi farla dal cellulare, no?-

-Ok, ok. Blutà. A tra poco- disse De Filippo che mentre metteva giù il telefono lanciava all’ispettore qualche insulto, tutto io devo fare ma va fa mmocc…tututututututu.

Blutarsky arrivò all’ingresso del locale e bussò. Un gorilla con maglietta attillata gli chiese, gentilmente, che voleva. Blutrarsky non rispose e mostrò il tesserino.

-Ispettore Blutarsky del 59° Distretto, devo parlare con Mr Gondola-

-Mr Gondola adesso è occupato, può aspettare?- una voce melliflua da dietro le spalle del gorilla che venne fatto spostare e venne aperta la porta -Oppure può dire a me, piacere Better, Genny Better, sono il socio di Mixi-

-Veramente dovrei parlare proprio con Mr Gondola, questioni che non riguardano il locale, per ora. Ho visto arrivare Ponzie, è occupato con lui Mr Gondola? Avrei urgenza-

L’Ispettore era curioso di sapere quanto stava disturbando.

-Un attimo, Ispettore…?-

-Blutarsky-

-Blutarsky, come Bluto di Animal House!-

-Si- disse Blutarsky tirando fuori un block notes – e lei è il…il…mah ho perso il conto di quante volte mi è stata fatta questa battuta- l’ispettore avrebbe potuto sorvolare su una battuta scontata ma non voleva lasciare spiragli di comunicazione, doveva essere lui a condurre il gioco.

-Mi scusi, arrivo subito-

Genny Better si accomiatò imbarazzato, il gorilla voleva mostrarsi sicuro e non spaventato, Blutasrky si mostrò annoiato da tutti questi giochini, si fece un giro nel locale. Poca luce, al centro della sala una pista da ballo ma ingombra di tavolini, Blutasrky si chiese perché fare una pista da ballo quando poi ci si mettevano i tavolini, colori viola e giallo, come i Lakers bah, una luce soffusa a fare da atmosfera. Doveva ammettere che non era male ma qualcosa non andava,non quadrava del tutto. Dava lo stesso effetto del Piper, forse un po’ più verso lo stile Pal Myr che verso Moore, ma trasmetteva comunque lo stesso odore di preconfezionato, qua e la degli sprazzi di realtà, in un angolo un ragazzo si stava rollando una canna, dall’altro lato due tizi discutevano animatamente, cose che al Piper sarebbero state assolutamente vietate mentre qui si accettavano con bonarietà, a sentirsi migliori, ma che andavano nascoste, mica fare la figura da locale underground o occupato. Ad un tratto si girò come se ci fosse qualcosa di fuori luogo e si trovò sotto una gigantografia della bassista dei Vat, Mary Martins. Pessima musica quella, perché li? Ma davvero Lefty era stata paragonata a Martins?

Miss Lefty in un Disegno di Henry The Berly

Miss Lefty in un Disegno di Henry The Berly

-L’Ispettore Blutasrky?- disse una voce alle sue spalle, distraendolo da quei pensieri

L’ispettore si girò e vide un uomo sulla cinquantina, curato e con orecchini ai lobi, maglia aderente e completo di Armani.

-Si, piacere Franek Blutarsky della Polizia Distrettuale-

-Piacere Mixi Gondola, mando avanti lo Smart Energy Loyal, vedo che stava ammirando anche lei la grande Mary-

-Insomma… ammirando…-

-Gran bassista-

-Si, discreta tecnica- Blutarsky rimase sul vago -L’ho disturbata?- chiese per cambiare discorso e perché era lui a dover fare le domande.

-Si figuri, per la polizia si trova sempre tempo, in cosa posso esserle utile-

-Non sarà una cosa breve, mi sembra una giusto dirglielo-

-Non si preoccupi, so che ha visto Ponzie ma non parlavamo di affari, possiamo riprendere più tardi-

Se non sono affari perché si ferma qui? E senza sapere quanto tempo? Si chiese l’Ispettore.

-Vorrei farle qualche domanda su Miss Lefty-

-Dio che terribile sciagura. Le mie giornate sono diventate notti, è come se si fosse oscurato il sole. Non mi aspettavo nulla del genere-

-Non se lo aspettava? Eppure era tempo che Miss Lefty era depressa-

-Bè si ma non mi aspettavo fino a questo punto. Ma perché la polizia indaga? Avete forse il sospetto che quello a cui abbiamo assistito non sia soltanto la sciagurata idea di una donna ormai giunta sulla soglia di un’età nella quale sentiva di non poter dare più tutto quello che un tempo l’aveva resa una grande cantante dei Nightclub e delle Balere?-

-Le indagini si fanno sempre Gondola- tagliò corto Blutasrky -Quando l’ha vista l’ultima volta?-

-Non ricordo-

-Miss Lefty e lei vi siete mai scambiati lettere?-

-Che c’entra questo?-

-Curiosità di sbirro-

-Non mi piace questa parola nemmeno se la usa un tutore dell’ordine. Non capisco perché me lo chiede ma comunque non…-

-Le abbiamo trovate nel cestino di Miss Lefty- incalzare per scoprire di più

-Solo le mie?-

-Quindi vi siete scritti?-

-Si, in passato-

In quel momento entrò De Filippo, questionando, a suo modo, con il gorilla. Li raggiunse, si presentò e passò una busta a Blutarsky, dentro c’erano dei semplici fogli di carta con la ricetta della pastiera. L’Ispettore e il suo secondo facevano spesso questo giochino.

-Questa lettera è del mese scorso-

Gondola deglutì.

-E cosa direbbe?-

-Che non la sopporta più, la chiede di liquidarla e di lasciarla andare via-

-Assurdità! Era lei che mi chiedeva di cantare, nonostante…-

-Nonostante?-

-Nonostante fosse quasi un favore che le facevo! Lei non può capire ispettore ma adesso le cose sono cambiate da queste parti. Un tempo una come Lefty mi avrebbe riempito il locale tutte le sere, ma oggi… Oggi no ispettore, quello stile non va più, mi spiace per quello che è accaduto ma non c’entro nulla-

-Quando ha suonato per l’ultima volta qui allo Smart?- chiese De Filippo

-Due mesi fa-

-Poi più niente- incalzò

-Si più niente, guardi ho qui la programmazione degli ultimi tre mesi-

Blutasrky prese i fogli e controllò

-Scusi, una curiosità. L’ultima volta che Lefty ha suonato qui era ad orario aperitivo e alle 22, cioè quando il locale comincia a riempirsi, è previsto un dj set, e così anche la volta precedente. Mi scusi forse non c’entra niente, ma una come Lefty a suonare per gli aperitivi, quando ancora non c’è nessuno?- chiese l’ispettore

-Che vuole che le dica, ispettore? Non aveva più tiro, portava pochi clienti e poi era sempre così dura, secca, certi urli dal palco che mi aizzavano la folla, si è vero bevevano di più ma allo stesso tempo quelli del Piper ne era spaventati-

-Mi scusi ma a lei che gliene importa?-

-Ispettore non mi faccia il romantico, perché crede che il Piper sia sempre pieno? Gli avventori del Piper sono la maggioranza di questo paese, se uno vuole campare in sto mestiere deve avere più avventori possibili, e non è che posso permettermi di stare ad ammirare una grandissima cantante con dieci persone-

-Quindi lei vuole fare concorrenza al Piper cercando di dare ai suoi avventori la stessa cosa che trovano al Piper?- De Filippo sembrava sorridere nella penombra del locale.

-Io voglio dare agli avventori quello che di cui gli avventori hanno bisogno. Così si fa questo mestiere-

-Certo, certo- disse Blutarsky -Quindi lei e Lefty avete discusso perché lei non le lasciava abbastanza spazio?-

-Io e Lefty abbiamo discusso, ma non capisco che c’entri con il fatto che Lefty si sia suicidata, in fin dei conti era ormai fuori dal giro, non mi aspettavo quanto accaduto e sul mio profilo facebook e sulla pagina del locale, può trovare il nostro elogio funebre, per la grande Lefty, speravamo capisse che i tempi erano cambiati, che non facesse come Nutella, invece ha fatto anche di peggio, siamo distrutti ma questo non mi può spingere a dire che aveva ragione-

-Quindi Lefty era fuori dal tempo come Nutella-

-Ma nemmeno con Nutella andava d’accordo! Anzi andate a chiedere a lui dell’ultima volta che hanno parlato dell’ultimo concerto che ha fatto alla Caverna!-

-Signor Gondola, lei non si preoccupi delle persone con cui parliamo noi, siamo qui per fare domande a lei, e non per accusarla di niente, stia tranquillo. Solo un’ultima domanda: che problema ha con lo stile, aspetti come l’ha definito lei? Ah, si, con lo stile duro di Lefty?-

-Ma nessuno! Solo che devo pensare a portare più avventori possibili e non siamo più ai tempi del Port Commune, certa aggressività sul palco spaventa e allontana, non attira!-

-La ringrazio, Mr Gondola- disse l’ispettore Blutarsky, ci fu un giro di saluti tra tutti e poi con De Filippo uscì.

-Hai cercato quel che ti ho chiesto?-

-Si, ci sono stati tre grandi concerti al Port Commune, i primi due quando ancora era una bettola underground, ma credo che alcune cose tu le debba vedere, Blutà. Lefty e Gramsci, al Port Commun Clandestino, 1943. Altro che gli avventori hanno paura dell’aggressività, che tempi chellilà-

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Ispettore Bluto

Ovvero è suicidio quello di Miss Lefty? Ispirato da Fantasmi dell’Arena

Uno dei maestri dell'Ispettore Blutarsky, l'Ispettore Theo Kojak

Uno dei maestri dell’Ispettore Blutarsky, l’Ispettore Theo Kojak

L’ispettore Blutarsky si calò il cappellaccio sugli occhi. Doveva muoversi, stare fermo non lo aiutava a ragionare, il caso era chiuso ma qualcosa faceva si che l’ispettore non riuscisse a scrivere la parola fine. Quel dettaglio che non inquadri ma che rovina il quadro.

Decise di prendere in mano la situazione. L’ispettore prese il suo trench stropicciato, si infilò un sigaretta in bocca e fece un grugnito

-De Filippo!- chiamò il suo secondo che era alla sua scrivania a leggere un libro strano, di poesie, scirtto in una lingua che non era italiano né inglese, napoletino, napoletto, napoletano una cosa del genere aveva detto De Filippo. Un italiano di Little Italy, origini napoletane, alto e con contegno più da inglese che da italiano, per questo lui e Blutarsky avevano legato subito, a lui il celodurismo dei suoi colleghi italiani, irlandesi e in fondo di quasi tutte le altre nazionalità dava i nervi. Avevano fatto coppia da subito e nonostante le diversità dei caratteri la facevano ancora. Già che invece Blutarsky era un po’ meno signorile. Ma si intendevano

De Filippo si alzò, prese la giacca e raggiunse Blutarsky. Uscirono dal Distretto di Polizia e si trovarono sul marciapiede nel caldo rovente che scendeva dal cielo e saliva dall’asfalto, infarcito di umidità e smog. Mentre l’Ispettore Blutarsky bestemmiava il caldo, De Filippo disse

-Pare di stare dentro una caffettiera- ma non sembrava dargli così fastidio.

Mentre raggiungevano la macchina Blutarsky cercò di fare mente locale. Miss Lefty era stata una bella donna, secondo l’ispettore lo sarebbe stata ancora oggi se non fosse che da tempo si trascurava, dopo anni sulla cresta dell’onda si era trovata sola, un po’ di depressione e la bella donna che aveva fatto girare la testa a tanti era diventata una carampana.

Proprio la depressione faceva propendere per il suicidio ma c’era qualcosa che all’ispettore non tornava, doveva parlare ad alta voce.

-Qualcosa non va- disse a De Filippo, mentre questo accendeva la macchina e si immetteva nel traffico tra la sedicesima e la trentaduesima.

-Dici per la storia di Miss Lefty? Il suicidio pare chiaro…- De Filippo lo guardò dall’alto in basso, con uno sguardo che Blutarsky aveva imparato a conoscere, va avanti diceva quello sguardo.

-Si ma perché avrebbe dovuto farlo?-

-La lettera dice che era stanca di vivere così, dimenticata da tutti-

-La perizia calligrafica che dice?-

-Non è ancora arrivata, ma è l’ultima cosa, poi il caso verrà chiuso…- De Filippo lasciò la frase in sospeso, l’ispettore sapeva che significava, lo stava spronando e sfidando. 

-Mmm- mugugnò Blutarsky -Torniamo a casa di Miss Lefty-

Nel giro di pochi minuti sarebbero arrivati sul luogo del suicidio, se non fosse che le strade erano un disastro di buche e traffico. Rimasero dieci minuti a guardare un semaforo cambiare colore ogni 20 secondi, tanto che ad un certo punto cominciarono a chiedersi che senso avessero i colori.

Quando giunsero sotto casa di Miss Lefty erano entrambi appiccicati ai sedili in finta pelle della Buick di ordinanza. Ma una volta scesi Blutarsky bestemmiò mezz’ora mentre De Filippo ritrovò subito il controllo.

Salirono le scale di un palazzone un po’ fatiscente. Lontano dai palazzi che Miss Lefty aveva frequentato e dalla bella vita che aveva fatto in passato, quando tutti la volevano. Ma i vicini avevano descritto una donna serena, sempre gentile, sempre con un sorriso, quasi tutti gli inquilini di sesso maschile avevano fatto capire che poi così carampana non era. Non era strano, conoscendo la storia di Miss Lefty, che si trovasse a suo agio. Era diventata famosa nel bar dei diseredati che volevano diventare migliori, dei lavoratori che non erano krumiri, dei partigiani e anche dei terroristi. Cantava per loro, li faceva sognare. Quando si era diffusa la notizia della sua morte un centinaio di vecchi e giovani si erano ritrovati, senza che nessuno li avesse chiamati, sotto la sua ultima casa e avevano cantato L’Internazionale, tutti insieme, sommessamente.

Anche Blutarsky aveva frequentato quel bar da cui aveva cominciato la sua ascesa Miss Lefty, ma alla lunga se ne era andato, ormai chi lo frequentava continua a chiederle di cantare sempre le stesse cose. 

-Miss Lefty!- diceva ogni tanto qualche avventore commosso e un po’ ubriaco -Fammi quella là, quella che hai fatto quella sera del ’68-

Un altro diceva la stessa frase ma la concludeva con -Del ’77- oppure -Del ’82- ma le cose fuori avevano cominciato a cambiare, la gente voleva musica diversa e lei ogni tanto ci provava a metter dentro qualcosa di nuovo ma i soliti avventori protestavano, le dicevano non ti riconosco più, e la facevano tornare ai suoi pezzi classici. Avevano paura di questo mondo nuovo e volevano essere sicuri che quel che gli piaceva fosse di Miss Lefty, il classico era rassicurante. Il nuovo era pericoloso, a priori.

Arrivarono all’appartamento, salutarono gli agenti di guardia ed entrarono. La corda era ancora appesa alla trave, la casa era dimessa ma ordinata, ancora non traspariva la depressione di cui avrebbe sofferto la suicida, o presenta tale. Appoggiato sul divano c’era un vestito, probabilmente quello con cui Miss Lefty era tornata a casa la sera prima di suicidarsi, visto che l’avevano trovata in lingerie. Era ancora tutto esattamente come quando Blutarsky e De Filippo erano entrati per il primo sopralluogo. 

-Quindi, m’hai fatto piglià o’caldo pe’niente?- chiese De Filippo, ma ancora il suo sguardo era uno stimolo. 

Blutasrky lo ascoltava ma fece finta di niente, sapeva che doveva guardare con altri occhi, ma non sapeva quali occhi. Quelli di un innamorato? In fondo Miss Lefty ne aveva ancora. O quelli di un nemico? Anche questi non mancavano. Doveva trovare qualcosa che gli permettesse di prolungare le indagini.

Si girò verso gli agenti alla porta

-Da quanto sono andati via quelli della scientifica?- chiese loro

-Da prima che cominciassimo il nostro turno- risposero quelli

De Filippo lo guardava, sornione, come a dirgli embè tutto qui?

Blutarsky lo ignorò e prese il cellulare

-Pronto?- disse una voce da un altro cellulare

-Dr Hibbert? Mi dica se ci sono novità sul suicidio Lefty-

-Blutasrky, buongiorno anche a lei! Un caso di suicidio non spererà che passi davanti ad altri?-

-Quindi nessuna novità? Mi faccia almeno parlare con chi ha fatto i sopralluoghi!-

-Blutasrky, ma quella donna non si è impiccata?-

-Ma che cazzo di scientifica siete, se non lo sapete voi…-

-Senta! Qui mi è arrivato un cadavere con scritto suicidio, qui ci sono casi di omicidio da risolvere, se ne faccia una ragione. L’unica cosa che posso fare e girarle il rapporto della squadra che è venuta sul luogo del delitto. E visto il suo atteggiamento, è già troppo. Arrivederci-

La comunicazione venne interrotta. Ma dopo pochi istanti il cellulare di Blutarsky suonò, avvisando di aver ricevuto una mail. L’ispettore sditeggiò per un po’ sullo schermo, poi fortunatamente De Filippo intervenne e gli sbloccò lo schermo, entrò nelle mail e lesse ad alta voce il rapporto. Almeno tre persone, probabilmente uomini, erano stati nell’appartamento di Miss Lefty attorno all’orario del suicidio.

-Blutà, quindi forse tieni ragione. Ora aspettiamo i risultati? Oppure mi vuoi dire cosa ti ha fatto arrivare a questa intuizione e trascinare me qui?- disse De Filippo guardandolo sornione.

Quello che non tornava all’Ispettore erano le motivazioni. Miss Lefty aveva subito di peggio. Durante il proibizionismo, aveva subito violenze, era stata torturata, picchiata, e con lei molti partigiani. Dopo la fine del proibizionismo, la voglia di ricostruire e ricostruirsi l’avevano fatta vivere in posti incredibili, patire la fame, fare spettacoli per operai, muratori e lavoratori in bettole dove, se andava bene, le offrivano una zuppa di cipolle come pagamento. Poi erano arrivati i grandi momenti, aveva avuto successo, aveva frequentato qualche circolo bene, i primi bei soldi. Poi le cose erano cambiate, la gente frequentava meno, si erano stancati del suo genere, e anche i gestori dei locali prima l’avevano obbligata a mantenere sempre il suo solito repertorio, poi l’avevano scaricata perchè volevano qualcosa di nuovo. Subito pensò a Mixi Gondola. Gestiva un bel localino sulla dodicesima. Roba fine, Miss Lefty e Gondola si erano conosciuti durante gli anni del grande sogno. Miss Lefty riempiva il locale che Mixi gestiva con Paul Nutella e altri soci nel Vieux Carrè. Ma dopo qualche anno, alla fine della Grande Epoca, Mixi e Paul litigarono con alcuni soci che fondarono il Piper Demo Club , il PD Club, e presero il monopolio del Carrè, cercando di cancellare quell’anima che fino a quel momento ne era stata la caratteristica, la durezza, il conflitto, non attirano più gli avventori, dicevano quelli del Piper Demo Club. Era stato in quegli anni che Miss Lefty aveva cominciato a frequentare meno, anche se le piaceva ancora, il Carrè, si esibì qualche volta al PD Clube, ma presto si sentì stretta. Una volta, quando già non frequentava più il Clube, Blutasrky le sentì dire a Nutella

-Paul, hai ragione questi si sono venduti l’anima per fare i soldi, si vede che sono qui solo per quello, ma ti ricordi quanti erano quelli che mi ascoltavano? Mai quanto quelli del vecchio Port Commune Internationale, quelli si che erano tanti, ma comunque c’erano, e io voglio farmi sentire, non solo cantare, altrimenti me ne sarei stata a casa davanti allo specchio trent’anni fa!era furiosa quella sera, sbatté la porta del locale e se ne andò.

Paul Nutella era stato il socio duro e puro, non aveva mai accettato i cambiamenti. Non che avesse sempre avuto torto, ma la preclusione era diventata con l’arco del tempo patologica. Lui e Mixi avevano aperto insieme il Pilota Rebelde Cave, un localino che per qualche anno ebbe successo, Miss Lefty vi cantò spesso e spesso era la punta di diamante delle serate, ma sempre più solo per nostalgici. Una sera, prima di fare quel discorso a Paul, venne obbligata a cantare per 115 volte consecutivamente Bandiera Rossa, con gli avventori, ubriachi, che piangevano e quasi minacciavano Miss Lefty quando cercava di cambiare canzone. Lei se ne lamentò con Nutella ma questo le rispose vagamente che avrebbe dovuto conoscere quelle persone, sapere come fossero, che lui cercava di dare un tono diverso al locale ma che certe tradizioni proprio non poteva cancellarle. Aveva già litigato con Gondola e già quel localino era frequentato da pochi ubriaconi in cerca di un modo per cambiare il passato.

Fu in quell’occasione, forse, che Miss Lefty venne aggredita verbalmente da Kranz, un tedesco, stava anche lui nei bassifondi ma non voleva uscirne, si crogiolava della sua povertà, non era ignorante, ma aveva raccolto attorno a se una specie di Corte dei Miracoli. Scacciati dal Carrè, si accontentavano di rimanere liberi di fare e farsi nelle piccole bettole del Porto. Non molto lontano da quello che fu il Port Commune, un club che secondo Blutasrky è stato sopravvalutato per troppi anni, ormai era quasi mitico, ma tutti gli anni del Grande Sogno lo sono, un mito stantio ed evidentemente fittizio. Ma guai a contestarlo. Kranz non sopportava che Miss Lefty, non lo degnasse di abbastanza attenzione. Non sopportava che i suoi locali, così underground, non venissero presi in considerazione, non sopportava aver bisogno di essere preso in considerazione, non sopportava chi voleva interagire con lui, si atteggiava a super gangster, ma in effetti era ben delimitato all’interno del proprio quartierino dalla polizia stessa. Ma di questa aggressione Blutasrky aveva sentito solo da alcuni avventori con i quali aveva parlato, ed erano ubriaconi che volevano cambiare il passato non certo affidabili al 100%.

-Forse qualcuno con cui parlare ce l’ho, ma ho bisogno di tempo- disse Blutasrky a De Filippo.

-Torniamo al Distretto?-

-No, aspetta- l’Ispettore si avvicinò al cestino dei rifiuti qualcosa aveva attratto la sua attenzione. Dei pezzi di carta, parevano appartenere a vecchie lettere che Miss Lefty aveva scritto. Non se ne capiva il destinatario ma avevano delle parti ritagliate, parole intere.

-Credo che tu abbia del lavoro da fare, visto che quelli della scientifica, non si sono proprio impegnati al massimo-

Blutasrky guardò De Filippo che sbuffò, si infilò dei guanti e cominciò a raccogliere e imbustare i fogli. Mentre Blutarsky si attaccava al telefono.

-O’Malley? Si passami il capo per favore. Si, si passami Cyrus-

E prima di parlare con il capo, la capa, del Dipartimento pensò che la gente ci rimane male se le fai notare che la sua gioventù non è così bella e così straordinaria come se la ricordano. 

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Võ Nguyên Giáp

Ovvero la terra ti sia lieve

C’era una volta un uomo. Questo uomo aveva 102 anni e aspettava. Io lo vedevo mentre passavo, sedeva spesso su una panchina tra l’edicola e il bar. Era vietnamita. Non molto alto, capelli bianchissimi, occhi pungenti di quelli che ti si piantano dentro, e questo in fondo è un po’ come dire che gli eroi son tutti giovani e belli.

Era di quel periodo lì, quello del XX secolo, secolo breve ma non brevissimo, e aveva fatto molte cose. Grandi cose, quando mio padre era giovane lui era un mito nel Quartieraccio, poche parole molti fatti, la resistenza popolare di quegli anni ha in lui un simbolo, era come se fosse presente sempre. Parlava del suo paese, dei francesi e degli americani che venivano sconfitti e ai ragazzi come me allora, tra i quali mio padre, pareva che le cose fossero lì, lì per cambiare. Poi però è successo che non sono cambiate.

Mio padre dal volergli dedicare le sezione è passato a fare quasi finta non esistesse. Mio nonno continuava a ricordarlo ma era sempre più difficile coinvolgerlo nelle discussioni, non era un uomo di molte parole. Mio nonno ha accettato fino a che ha potuto come sono cambiate le cose, mio padre invece si è convinto che è stato giusto, rimane che nessuno riusciva più a parlare con quest’uomo, che rimaneva lì seduto, sulla panchina.

Alcuni ragazzi a volte arrivavano a trovarlo, ma parlavano di lotta armata, di armi, di fucili, e lui ne era un po’ infastidito. Non che avesse problemi con questi argomenti ma non capiva perchè questi ragazzi volessero parlarne.

-Voi preferite parlare di queste cose- disse una volta a un ragazzone con la barba, che poi era un ragazzone ma sulla quarantina -Ma io non capisco perché dovremmo farlo-

-Ma perché voi l’avete fatto e oggi…- cercò di motivare il quarantenne

-Noi non abbiamo sparato perché sparare è giusto ma perché era giusto sparare. Noi sapevamo dove volevamo arrivare, indicavamo la strada alle pallottole, non ci facevamo trascinare. Uccidere un uomo non è una scelta facile, sparare non è una cosa che fa la pistola, se non sai perché compi una scelta, vuoi solo parlare-

Ora quell’uomo è morto, e, come dicono altri blogger un po’ più famosi di me:

Sia chiaro: per noi “Giap” non è tanto la Grande Personalità, il Nome Famoso, l’Eroe, il “battilocchio” la cui contemplazione distoglierebbe lo sguardo dai processi collettivi e di lungo corso. Al contrario, per noi “Giap” è molteplicità, “Giap” sta per le miriadi di persone che, ciascuna a suo modo, hanno contribuito alla decolonizzazione, alla lotta planetaria contro razzismo e colonialismo, alla presa di coscienza degli spossessati di vaste aree del mondo. Per noi “Giap” è il secolo, la parte del XX secolo che vale la pena continuare a interrogare, con spirito critico ma senza revisionismi cialtroneschi. Né replicare né rinnegare, assumersi la responsabilità del phylum che ci porta all’oggi, senza affannarsi a strappare pagine dall’album di famiglia per paura che le vedano gli sbirri della memoria. Vengano pure a perquisirci: noi non abbiamo vergogne. (cit. Wu Ming)

Io non sono nessuno, non sono un intellettuale, ma di questi interrogativi, di riprenderci quello che è stato buttato via alla fine degli anni ’70, sento tanto il bisogno e mi sembra che Giap abbia voluto resistere fino a che non si fosse cominciato a riprenderci, non chiedere ma rivendicare, questa storia. Ma noi non mi pare che si sia ancora cominciato.

Al Generale Giap.

GIAP

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Alberi

ovvero pensieri

Quello che si vede dalle rive del villaggio Laowe

Quello che si vede dalle rive del villaggio Laowe

Una volta nel villaggio di Laowei, lungo il fiume Lijiang, c’era un monaco che viveva nel tempio del Dio e coltivava Armonia, Rispetto, Purezza e Realizzazione. Era un grande e importante monaco e aveva molti discepoli ai quali parlava da sotto la chioma di un albero che coltivava da quando era giovane. Era un albero alto, bello, dritto, con la chioma verde, il fusto di un colore perfetto e i rami a lanciarsi orgogliosi verso il cielo. Non era stato facile coltivarlo, aveva dovuto portare la terra da molto lontano perché i semi di quell’albero crescevano solo nella terra del fiume che sta a nord della Valle Lontana, aveva dovuto accudirlo ogni giorno e ogni ora perché il tronco crescesse esattamente come lui l’immaginava, aveva dato i giusti nutrimenti perché le foglie sbocciassero del verde che fosse proprio quello che lui sognava. Aveva dedicato così tanto tempo a quell’albero che da anni non usciva dal tempio e ora quell’albero era così perfetto che molti pittori venivano a ritrarlo per non fare fatica ad immaginarsene uno.

Di fronte al tempio viveva un uomo che coltivava e basta. Non seguiva le leggi del tempio ed era uno a cui piaceva discutere fino a litigare, se necessario. Aveva tre figlie in età da marito e quando era nata la prima aveva piantato anche lui un albero che era cresciuto storto, con la corteccia spaccata, i rami non avevano una sola direzione e ogni foglia e ogni frutto sembravano diversi l’uno dall’altro, quasi di alberi differenti. Aveva coltivato quell’albero come coltivava tutti i suoi alberi, lo aveva seguito insieme a tutti gli altri, ma a quell’albero era più legato.

Accadde una volta che, durante una Festa di metà autunno, mentre alcuni giovani donne lanciavano fazzoletti in aria e ballavano, il contadino passò davanti al tempio che aveva il cancello aperto e si soffermò a guardare l’albero che il monaco ancora accudiva amorosamente.

-Ti piace questo albero?- chiese il monaco quando si accorse del contadino

-Si- disse il contadino titubante e pensieroso

-E perché anche tu non provi a coltivarne uno così? Seguendo i precetti potrai ottenerlo-

Il contadino lo guardò sornione

-Per prima cosa io ho più di un albero da coltivare. E comunque io vorrei che i miei alberi mi sopravvivessero. Mentre il tuo sta per crollare-

Il monaco si raddrizzò di scatto con ancora l’innaffiatoio in mano e cercò qualcosa da dire al contadino, ma proferì soltanto

-Blasfemo!-

Passarono i giorni e venne l’inverno. Una mattina il contadino si alzò e guardò i suoi campi, erano coperti di neve. Si chiese, come tutte le mattine, cosa poteva fare per loro, e si rispose che la cosa migliore, per i suoi campi e per la sua famiglia sarebbe stata quella di prepararsi alla primavera quando quei campi avrebbero avuto pianticelle da proteggere e poi da raccogliere. Si recò nella stalla per accudire gli attrezzi e prepararli al lavoro che sarebbe arrivato, mentre la moglie con le figlie accudivano gli animali. Una volta finito si accorse che aveva bisogno di legna, decise quindi di andare a prenderne un poco nel bosco. Uscito, vide il cielo che diventava grigio, pesante ma bello, come se fosse vivo. Entrò nel bosco conscio di quanto stava per accadere e quando ne uscì il cielo era cambiato era ancora vivo ma molto, molto arrabbiato . Il vento sibilava forte e dopo aver colpito il contadino, cercò di intrufolarsi tra i vestiti, giù giù lungo la schiena. Il contadino bestemmiò e si strinse bene la sciarpa e la giacca per fermare il vento. La casa non era lontana, poteva vederla sul crinale della collina insieme l’albero che aveva piantato che senza nessun timore resisteva al vento che sferzava.

Il vento diventava sempre più forte, sferzava i prati e i campi, si infilava dentro i vestiti, correva intorno ai tronchi, sibilava tra le foglie e i rami, congelava le schiene, ma era parte del mondo e nessun albero lo temeva. Tutti tranne uno, notò, il contadino.

L’unico albero che aveva paura del vento sembrava quello del vecchio monaco. Il grande e bellissimo albero oscillava al di sopra del tetto della pagoda. Il contadino passò di fronte al cancello e sentì l’agitazione dentro il cortile del tempio. La notte, dopo che la famiglia del contadino era riuscita a buttare fuori il freddo dalla propria casa, il contadino e sua moglie erano nella propria stanza e si stavano spogliando l’un l’altro, baciandosi, quando un rumore fortissimo, come di una cascata di legno enorme, travolse i loro ardori e fece ritrovare la famiglia nella cucina.

-L’albero del tempio- disse subito il contadino

-L’albero del tempio- disse la moglie guardando fuori dalla finestra.

La pagoda era crollata sotto il peso del grande albero che vi era caduto sopra tagliandola in due. I monaci erano disperati e si aggiravano come formiche sputate fuori da un formicaio. Solo che faceva freddo. Molto freddo.

Il contadino si mise in marcia per andare verso il tempio. Arrivato vi trovò altri uomini che erano giunti per aiutare. Alcuni erano già arrivati con seghe e asce per tagliare il tronco dell’albero. Ma i monaci più giovani non volevano che l’albero venisse tagliato a pezzi e sostenevano che, per non offendere l’Armonia del cosmo e la sua volontà, il tempio sarebbe dovuto essere ricostruito attorno a quell’albero. Quando sentirono queste cose i contadini scoppiarono a ridere, sapevano bene che non si può costruire nulla su qualcosa di morto. Il vecchio monaco stava in un angolo a guardare il tronco caduto.

Il contadino dell’albero storto si avvicinò al vecchio monaco, che quando lo vide arrivare sembrò risvegliarsi e disse

-Come sapevi?-

-Hai portato terra che non era di qui, hai fatto crescere troppo l’albero e le foglie erano troppo grandi, le radici non hanno retto, non avrebbero potuto reggere. L’albero che ho piantato quando nacque mia figlia è storto perché si è adattato a dove vive, è in armonia con quello che ha intorno e vivrà ancora anni e anni-

Il vecchio monaco lo guardò, sembrava distrutto.

-Ma ho seguito l’Armonia… sono stato Rispettoso…-

-Queste parole non possono avere la maiuscola- disse il contadino e si girò per tornare tra gli altri. Discusse, litigò, si animò, insultò e accettò che gli altri facessero lo stesso con lui. Fino a che non fu chiaro che se avessero permesso ai contadini di tagliare l’albero sacro e vendere il suo legno pregiatissimo, i monaci, anche lasciando una parte dei guadagni ai contadini, avrebbero raccolto abbastanza soldi per ricostruire il tempio. Il vecchio monaco meditò fino alla morte su quanto accaduto, senza riuscire a darsi risposte. Il contadino tornò alla sua vita e quando le sue figlie ebbero dei figli a loro volta, ad ognuna donò una pianta, figlia di quella che aveva piantato lui quando era nata la prima di loro.

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l’Italia è il paese che amo

ovvero fare un videomessaggio attira molto le attenzioni, quindi ne ho fatto uno anche io.

http://www.youtube.com/watch?v=SCHj6jLEyk8&feature=youtu.be

L’italia è il paese che amo, qui sono nato e qui ho le mie radici.

Non è più il momento di chiederci cosa l’Italia può fare per noi, ma cosa io posso fare per voi.

Chissà quanta stanchezza accumulata in questi anni di lotte. Le possibilità che avete davanti sono due: al prima iscrivervi a Forza Italia e sperare di partecipare a cene eleganti; la seconda farvi fare un massaggio shiatsu.

Nel primo caso avrete bisogno di migliaia di euro, nel secondo i prezzi sono popolari e prenotarsi è semplice basta seguire il link qui sotto.

La via socialista allo Shiatsu è alla portata di tutti.

E alle prossime elezioni, piutost che nient, vota Bluto.

http://www.eppela.com/ita/projects/508/massaggiatore-a-domicilio

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Giordano

ovvero di filosofia e massaggi

Il ponte da cui si inizia

Milano, 21 settembre 1600, piazza delle armi fuori dal Castello Sforzesco

-…sei condannato per eresia ad essere arso sul rogo- disse l’uomo incappucciato, con il mantello nero, la tunica bianca e una bibbia in mano.

Ma facciamo qualche passo indietro

Rotius oggi conosciuta come Rozzano,
AD 1578,
vicino al naviglio, lungo la strada per Papia, oggi conosciuta come Pavia.
Una notte di luna piena.  

-Franecus! Finalmente eccoti! Pensavamo non arrivassi!-

-Volevo essere sicuro non vi seguisse nessuno. Allora Ettore, un transfugo? Può pagare?-

-Ti presento un amico- disse Ettore come non avendo sentito tutta la frase -Si chiama Giordano, viene da Bergamum e vuole andare in Francia. Ha bisogno di te, vedi…-

-Ettore, lo sai che non mi importa, non voglio sapere niente di quelli che fuggono. Ma se il tuo amico vuole andare in Francia, ha preso una direzione bella lunga. Lo sai che da qui bisogna rientrare in Milano e poi verso la Savoia. Sarà lunga e pericolosa. Il costo dipende da chi fugge, lo sai-

-Mi seguono papalini, come dice lei, di giustizia religiosa e terrena. In una son colpevole, nell’altra innocente-

-Non voglio sapere niente- disse Franecus

Stabilito il prezzo, Franecus condusse i due sotto il ponte, dove era ormeggiata una lunga chiatta con la quale il rozzanese trasportava riso e grano verso la città di Milano. Giordano venne fatto nascondere tra le merci, Ettore venne salutato, a Franecus venne dato tre quarti del compenso totale.

-Se vuole può uscire allo scoperto, a prendere aria Giordano. Fino alla prima chiusa nessuna guardia, maledetti spagnoli, si farà vedere- Franecus sputò per terra – La prima cascina è molto lontana, insomma può stare tranquillo, le dirò io quando è meglio cominci a nascondersi-

Giordano, era vestito da frate, ma di quei tempi si processava tutti, a volte anche senza motivi precisi, a volte solo perché si stava antipatici a qualcuno, come qualche untore. O presunto tale. Si viveva meglio fuori da Milano, meglio solitari a Rotius che in mezzo ai matti a Milano. Una fitta a quella che oggi chiamiamo zona lombare fece gemere Franecus.

-L’umidità fa male alle ossa- disse Giordano che guardava fisso davanti a se

-Già- Franecus che fece sottintendere un mica mi posso permettere di non lavorare…io…

So che questo lavoro è più faticoso che scrivere- disse Giordano

Franecus rimase di sasso. Mi ha letto nel pensiero? 

-Se se lo stesse chiedendo: no, non le ho letto nel pensiero. è che tutti quelli che fanno il suo lavoro mi hanno dato questa risposta quando gli ho detto dell’umidità- aggiunse Giordano.

Un’altra fitta, Franecus si appoggiò al timone.

-Io non ho fretta, se lei vuole posso alleviare il suo dolore…- Giordano si girò e guardo Franecus -Gratis-

Un’altra fitta, la schiena cominciava a fare davvero male e forse c’entrava anche l’età.

-Magia? Stregoneria?- chiese titubante al frate Giordano che scoppiò a ridere.

-Che periodo è questo che ogni cosa che non si conosce è magia? No, nessuna magia, una pratica orientale insegnatami a Venezia prima della peste. Magia! AH! Questa barca si muove?-

Giordano guardò Franecus

-sssssi- disse il barcaiolo

-Ecco e vedi qualcosa che la spinge?-

-Si, l’acqua-

-E cosa spinge l’acqua?-

Silenzio

-La natura è piena di energie di corpi che comunicano l’uno con l’altro. Nessuna magia, nessuna eresia-

Franecus era titubante, forse il Diavolo si stava presentando a lui sotto forma di frate in fuga? Poi pensò che coloro che si spacciavano per ministri di Dio erano stati per lui molto pericolosi, quindi il Diavolo poteva essere peggio di Dio?

-Cosa devo fare?- chiese al frate

-Ferma la barca e sdraiati-

Franecus eseguì, si sdraiò e ricevette un trattamento da parte del frate che lo manipolò, premette, fece stiramenti, dolci, forti, decisi, morbidi in base a come sentiva reagisse il corpo di Franecus. Finì dopo un’ora. E la schiena di Franecus non era più dolorante.

-Franecus, non è magia, il dolore tornerà se tu non vivrai diversamente, ma so già la tua risposta-

-La ringrazio, sto molto meglio, ma non so come sdebitarmi- Franecus portò mano al sacchetto delle monete ma Giordano lo anticipò.

-Portami fuori da Milano- disse

Il Frate tornò a nascondersi e dopo poco incontrarono delle guardie, Franecus le conosceva e così passarono lisci. Il secondo controllo fu altrettanto blando e così uscirono da Milano.

Sorse il sole ma Franecus non fermò la barca dove avevano pattuito.

-Franecus…- disse il frate preoccupato.

-Non si preoccupi, non mi piacciono gli inquisitori-

Rimasero in silenzio ancora per un bel po’, fino a che furono in vista di Somma Lombardo, dove il Naviglio finisce e dove Giordano Bruno avrebbe potuto trovare un collegamento con la Savoia e la Francia.

-Sai leggere?- disse Giordano a Franecus mentre scendeva dalla chiatta.

-Posso sempre imparare- disse Franecus -Posso chiedere a Ettore-

-Tieni, questo libro l’ho tradotto a Venezia da quell’ambasciatore del Catai che mi insegnò il trattamento che ti ho fatto, magari ti sarà utile-

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Milano, 21 settembre 1600, pochi istanti prima di quando abbiamo cominciato

-E quindi Franciscus detto Franecus, per aver fatto fuggire molti nemici di Santa Romana Chiesa e del Vescovo Federico Borromeo, per aver praticato arti magiche orientali imponendo le mani e trasmettendo con esse un’energia di origine diabolica, e per aver posseduto un libro scritto di suo pugno dall’eretico Giordano Bruno, non avendo abiurato dalle tue aberranti idee, sei condannato per eresia ad essere arso sul rogo-

Franecus avrebbe voluto dire che non era magia, che di spirituale non c’era nulla ma che tutto il resto era vero, ma la brodaglia che lo avevano obbligato a bere dopo sei giorni di torture lo lasciava senza parole, sentiva che solo con l’ultimo immenso enorme sforzo avrebbe potuto dire qualcosa. Raddrizzò la schiena, ogni muscolo gli dolette e ripensò a quella sera e a quel massaggio. Avevano già appiccato il fuoco, ma urlò forte

-Porco….!- il fumo gli spezzò il fiato.

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Il fuoco

ovvero si smarchetto, con garbo

-e fu così che finì la guerra-

Nonno Blutarsky si strinse nella coperta e avvicinò le mani al fuoco. Guardò il nipote e le altre dieci persone che erano sedute dietro di lui, le fiamme che guizzavano nel camino della casa semidistrutta illuminavano i loro volti. Per la prima volta aveva raccontato quel che ricordava di quei giorni del 2013-2014. Un escalation l’avevano definita i giornali. Dopo dieci anni qualcuno era tornato a produrre qualche copia in qualche città del paese, paese?!, ma non riusciva ad uscire dai confini della città. Repubblica ad esempio era sparita, come Il Fatto, non il Corriere della sera. IlPost.it era invece diventato un giornale cartaceo, per forza.

-Cos’è un escalescion, nonno Blutarsky?- chiese Karl, suo nipote, mentre Nonno raccontava

-Un escalescion è quando una cosa nasce come una cosa piccola e poi piano piano diventa grande, sempre più grande. Ad un’esempio: poniamo che tu e Marco litighiate. Lo fate perché Marco ti ha rubato il posto vicino al fuoco, poniamo. E tutti noi all’inizio pensiamo che sia una cosa da poco e che voi farete pace in fretta. Poi però tu tiri un pugno a Marco e lui due a te, poi tu tre a lui e via dicendo fino a quando non vi state picchiando come matti-

Il bambino annuì, le altre persone sedute vicino al camino si strinsero nelle coperte, pronti a seguire la storia, sette adulti, tre bambini, pendevano dalle labbra di Nonno Blutarsky.

E lui non si fece pregare, aveva voglia di parlare. E così raccontò di come la proposta della Russia di mettere le armi chimiche siriane sotto il controllo internazionale fosse stata vista come un tentativo di allontanare la guerra. Invece i russi imposero che i siriani dovessero consegnare le armi solo a loro, agli iraniani e ai cinesi, e gli USA si opposero dicendo che non si fidavano e che volevano essere presenti loro in prima persona, dopo che L’UE non aveva dato l’appoggio entusiasta alla proposta di attacco Obama non si fidava più nemmeno di loro. La Russia inviò ugualmente i propri soldati in Siria, sfidando gli USA, a ritirare le armi chimiche.

Ci sarà da lavorare per almeno 5 anni, dichiarò Putin dopo essersi consultato con i suoi generali. Seee! rispose Obama Figurarsi! E intanto Assad continuerà ad usarle! EHI! si intromise XI Jinping, segretario del Partito Comunista Cinese, Ma che parlate a fare voi statunitensi che sono dieci anni che state in Iraq! Obama si indignò Siamo già andati via dall’Iraq! Gli altri scoppiarono a ridere Seeeeeeeeeee come no! Comunque ci siete rimasti dieci anni risposero. Non è vero, ci siamo rimasti 9 anni e comunque non sono come Bush. I vetri del Palazzo di Vetro vennero sconquassati dalle risate di russi, cinesi, brasiliani e indiani, che dissero Ah! è vero che tu sei Premio Nobel per la Pace! E giù a ridere.

Quando poi una commissione internazionale indipendente, finanziata da una associazione umanitaria russa e una cinese, rivelò che le armi chimiche le avevano i ribelli, o anche i ribelli, la situazione degenerò. Obama disse Allora ci prendete in giro, noi mo’ bombardiamo e basta. Punti e Xi Jinping Provaci! 

Detto fatto! Obama bombardò le basi dove forse si sarebbero trovate le armi chimiche, i Russi chiusero subito le forniture di gas e petrolio verso l’UE che disse Ma che cazzo c’entriamo? Putin offeso disse l’Italia ha perseguitato politicamente con la magistratura il mio amico Berlusconi, e poi sempre dalla loro parte siete stati. 

Ah si?! dissero da Bruxelles, tiè! Beccati i missili!

Dopo poco tutta l’area tra il Portogallo e Teheran e tra Capo Nord e il deserto del Sahara era bombardata da missili, niente truppe di terra per carità.

-MI ricordo- disse Nonno Blutarsky – che qualcuno aveva anche provato a dire che se i giovani fossero stati più seri e avessero voluto voglia di fare sacrifici sarebbero andati in montagna a fare la Resistenza-

Ma i giovani risposero A chi dovremmo resistere? e come si fa la Resistenza a dei missili? E non se ne fece nulla.  

In poco tempo, l’Europa era semi distrutta, non so dire la situazione di Russia e USA, o Cina o Brasile o Thailandia perchè già avere notizie era diventato difficile e poi l’ultima notizia che venne da fuori Trebisonda furono due dichiarazioni, una di Obama e una di Xi Jinping, più o meno identiche

Ci siamo rotti, adès basta (si, è dialettale, ma non stupitevi Obama e Xi sono nati tutti e due in provincia di Olgiate Olona), la prossima arma vi annichilirà.

-E quando uno non ha più la casa dove ha vissuto e vive con moglie e figli in un rifugio…-

-Nonno i tuoi figli erano la mia mamma e il mio papà?-

-No solo la tua mamma… ecco in quella situazione uno si chiede Ma che possono farci di peggio? L’atomica?-

Invece saltò la corrente, basta non funzionava più nulla. E così niente, la guerra finì di colpo, ma niente ospedali, niente macchine, niente, di niente. In molti partirono per tornare chissà dove che tutti eravamo nati a Trebisonda. Ma piano piano ci spostammo verso le campagne e tornammo a lavorare la terra, ci organizzammo per difenderci dai razziatori. La vita cambiò drasticamente, sembravamo ripiombati nel medioevo.

-Riuscii, quando la comunità si espanse, a fare il lavoro che avevo sempre sognato di fare. L’insegnante, fu bellissimo. Ma la situazione era dura e durante una razzia…-

-Morirono il mio papà e la mia mamma?-

-Purtroppo si, Karlin, non erano i primi e non sarebbero stati gli ultimi…-

La comitiva era in viaggio da tre settimane verso le montagne, dove si diceva esistessero comunità federate e tranquille dove si poteva vivere con più serenità. Il vecchio Blutarsky era però molto stanco e cominciava a chiedersi se avesse fatto bene a partire, poi vide il nipotino, che crollava dal sonno e una donna che lo coccolava per farlo addormentare e si disse che ce l’avrebbe fatta,sarebbe almeno arrivato fino a quella che forse un tempo era stata la Val Trompia.

-Vieni, vecchio Blutarsky- disse Cisco, un ragazzo lunatico con i baffi spioventi -è l’ora del massaggio shiatsu. Dai-

Cisco era bravo e Nonno Blutarsky sapeva che gli avrebbe fatto bene quindi si alzò, con fatica e seguì il ragazzo.

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Meglio del Moment!

ovvero smarchettiamo!

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Ahia. Vi capita mai di svegliarvi la mattina e pensarlo? Di solito il mio pensiero successivo è: 

giornata dura. 

Quello dopo ancora è 

serata eccezionale.

Ma, comunque, rimane il fatto che questa mattina mi sono svegliato e ho pensato: ahia, la testa, cazzo, la testa. 

No, non sono una testa di cazzo. Mi faceva un sacco male la testa. E quindi scendere dal letto è stato un po’ come scendere dall’Everest dopo che nella salita hai finito tutte le provviste, si è scatenata una tempesta di neve e anche di sabbia, la tua guida è caduta in un crepaccio, e scendendo ti sei rotto una caviglia. Sono rimasto seduto sulla sponda credo per tre ore con la testa tra le mani. Sentivo letteralmente pulsarmi le tempie tra le mani e ho pensato che niente sarebbe valso di più che vedermi comparire davanti un moment, o un Oki o comunque qualcosa che diminuisse questo male.

infatti la lama della suoneria del cellulare mi ha passato il cervello prima avanti e indietro, poi a destra e sinistra. Per almeno cinque volte prima che mi rendessi conto che per far finire quella tortura sarebbe bastato rispondere.

-Pronto?-

-Ah…ecco…scusi mi sa che ho sbagliato numero…-

-Ale, sono io, che c’è?- Ale sta per Aleksandra, mia sorella. 

-Mal di testa, eh?- è sempre molto perspicace la secondogenita -Spero almeno ne sia valsa la pena-

-Aspetta- le dico, poi sposto il cellulare dall’orecchio e vedo che ho una uozzappata di almeno 15 messaggi ricevuti, e altrettanti inviati, anche se ricordo solo che tornato a casa ho passato del tempo a scrivere ma chissà cosa, sarà interessante riscoprirlo. 

-Bè, prima fammi leggere poi ti dico- aggiungo -Vabbè ma quindi, che vuoi?- sono scorbutico se ho mal di testa, e anche in un milione di altre occasioni. 

-Ce la fai per pranzo, vero? Ci sono i genitori di Marco- Marco è il suo ragazzo e questo è il primo pranzo delle famiglie, ci saranno i suoi i miei, i rispettivi fratelli e sorelle (uno di questi sono io). 

-Ehm… si penso di si, che ore sono ? tra quanto devo arrivare?-

-Ma te ne sei dimenticato?! Vabbè, sei un pirla, tra un’ora a casa, dai su-

Ok. Un’ora è abbastanza per riprendersi, step 1. caffè. Poi Oki, massaggio alla testa e una bella doccia. Lunga. 

Dopo un’ora esatta

Sgneeeeeeeee (il suono del citofono a casa dei miei), Marco con i suoi e io sono già in casa, che bravo fratello maggiore che sono. Peccato che capisca un quarto di quanto mi viene detto, e l’encefalogramma dia segni di attività celebrale ogni 4 minuti e 35 secondi. Ho bisogno di un altro caffè e prima di pranzo. 

Mia madre ha preparato l’ira di dio di cibo, antipasto, due tipi di primi, un secondo (solo), contorni a go go, vino a fiumi (io bevo birra), dolce, e solo allora potrei assaporare un bel caffè. Non posso aspettare così tanto. 

Mio padre e la madre di Marco chiacchierano amabilmente di politica, naaa lasciamo stare che col mal di testa che ho…, Marco, suo padre, mia madre e mia sorella, del più e del meno. Io e il fratello di Marco guardiamo tutti con un sorriso da chi è più impegnato a sembrare di essere presente che esserlo veramente. Lo guardo e gli dico sottovoce

-Caffè?-

-Magari- mi risponde lui

Così senza dire niente mi alzo e mi dirigo in cucina, appronto la caffettiera e rimango li a guardare. Dopo poco mi raggiunge Francesco, fratello maggiore di Marco, di qualche anno più giovane di me. Precario come tanti, simpatico e con i baffoni spioventi. 

-Seratina?- mi dice lui sorridendo tra le nebbie del mal di testa

-Anche tu mi pare- rispondo.

-Bè…si, divertente-

-Eheheheh le divertenti sono le peggiori- aggiungo -Sopratutto quando soffri di cervicale- e mi passo una mano sul collo

-Senti Franek… giusto?- mi chiede lui e io annuisco -Se soffri di cervicale, io potrei aiutarti. So fare degli ottimi massaggi, e sto cercando di far girare il più possibile la voce-

Tempo un’ora non avevo più mal di testa. Bella vita. 

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Due parole

Ovvero si continuo a smarchettare

Quella mattina mi ero svegliato presto, nel senso che ero solo un’ora in ritardo. Ok, al lavoro per le 10 e sono le 9:45, ce la posso fare? Si. Ies ai chen! 

In questi casi la procedura è molto semplice:

1. passare mano sulla faccia e lasciar andare parole di improperi (io solitamente me la prendo con Dio e la Madonna, meno con Gesù);

2. mentre si scende dal soppalco infilarsi i pantaloni, e i calzini, se la cassettiera è alla giusta distanza, prenderli puliti

3. Una volta arrivati a terra, infilarsi maglietta/camicia (la prima che si trova tanto ne avrete un po’ sulla scrivania) allacciare pantaloni, mentre si corre verso la macchinetta del caffè

4. accendere macchinetta del caffè, tritare caffè mentre ci si lava i denti, bere caffè che sa di dentifricio, uscendo

5. lasciare tazzina sul pianerottolo, sul proprio zerbino

5/bis. lasciar perdere i probabili abbinamenti di colore assurdi che vi fanno parere un camaleonte in crisi di identità

5/tris. Ricordarsi le scarpe

Ok. Ore 9:50 sono in box e la vespa già ruggisce e decollo senza chiedere il permesso alla torre di controllo. In strada non c’è nessuno, perfetto, la musica passa i pezzi giusti per correre. Perfetto. Se non c’è nessuno, posso anche permettermi di saltare i semafori. Perfetto! Daidaidai! 

Ok, sono in vista del lavoro, due minuti. Se ho fatto i conti giusti, io in vespa guardo l’ora prima di partire e poi conto spannometricamente il tempo trascorso in base a quante canzoni ho ascoltato, sono in ritardo ma di pochissimo.

Smonto, lego la vespa, a questo punto posso guardare di quanto sono in ritardo. Sono le 10:10, non male posso accampare scuse. Salgo le scale che portano al portone d’ingresso, che però è chiuso, strano. In portineria non c’è nessuno, strano. Nessuno in giro, pare, ma…ma…mamama… ma che cazzo succede?

-Pronto, Mauro?-

-Bluto, che cazzo vuoi all’alba della domenica?-

Il mio responsabile è sempre molto educato all’alba della domenica. 

-Ah! è domenica…- mi sento un qualcosa dentro che…

-Si, Bluto, cos’è te lo sei dimenticato?-

-No, ecco, io…-

-Bluto, mi sa che sei un po’ esaurito, eh? Se vuoi ho un amico che fa ottimi massaggi, te lo consiglio-

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