Ovvero terza puntata del giallo che sta avvincendo tutta Casalpusterlengo.
You’ve got an email disse una voce dal portatile dell’Ispettore Blutarsky. Alle due del mattino. L’ispettore fu certo che solo una persona avrebbe potuto scrivergli una mail a quell’ora, lui o lo spam. E dato che l’ispettore ancora non dormiva, decise di controllare.
Non era spam, era De Filippo. In allegato i testi delle lettere che avevano trovato in casa di Miss Lefty durante il primo sopralluogo. Tre i mittenti, quelli che sapeva e si aspettava: Gondola, Nutella e Kranz. Lettere d’amore e conflittuali, lettere dove Lefty non riceveva le risposte che, forse, cercava. Lettere dure, a volte, ma passionali. Lavoro, passione, lotta. Le lettere trasudavano questo. C’altro, pensò l’Ispettore. Le lettere avrebbero voluto essere passionali, ma all’ispettore sembravano replicare stereotipi. Era come se queste lettere fossero state scritte in quel modo, perché dovevano avere quella forma, non perché il contenuto lo richiedesse. Erano tre uomini che dovevano apparire, convincere gli altri che erano quello che pensavano di essere. Era solo un’intuizione, che ne sapeva lui, poi parlavamo di lettere, ma chi diavolo scrive le lettere oggi? E dov’erano le lettere di Lefty? A Lefty piacevano le lettere, questo lo sapeva, anche lui ne aveva ricevute e scritte. Sopratutto per le sue comunicazioni personali. Le mail, i messaggi, i social network, va tutto bene ma a volte ho bisogno che tu capisca come sto da come scrivo, ho bisogno che tu senta me, la mia mano che si muove sul foglio.
Blutarsky prese il pacchetto di sigarette e si alzò dal tavolo. È uno di quelli che per pensare ha bisogno di muoversi, di fare. La contraddizione tra pensare e fare è roba da fascisti pensò un giorno Blutarsky, l’azione deve essere preparata, e il pensiero non può che agire. Quindi, ma al contrario, è anche roba da ex sessantottini tutti dediti al pensiero fine a se stesso, a spaccare in quattro un capello teorico, a dividersi sulla forma priva di sostanza.
Diede uno sguardo intorno, la sala da pranzo del suo appartamento era pulita ma caotica. Fogli e foglietti si accatastavano ovunque, sopra i mobili, sopra la credenza Ikea, la cassettiera Ikea. Il tavolo Ikea invece era sgombro, non avrebbe mai sporcato con il cibo i suoi preziosi appunti, il pavimento pulito e, fatta eccezione per un po’ di polvere, l’ispettore era orgoglioso di come teneva la casa. Le rare volte che qualcuno gli chiedeva come facesse a vivere così, si vantava nel rispondere è disordinato non sporco. Aveva, negli anni, costruito un metodo di rotazione dei fogli, nel quale era necessario avere sempre un spazio vuoto da occupare per spostarli e pulire e poi rimetterli dov’erano perché li sapeva li avrebbe ritrovati, quello spazio era ovviamente il tavolo. E quando qualcuno obbiettava sul disordine l’ispettore rispondeva non è disordine, è diversamente ordinato, non hai le chiavi di lettura per orientarti, io trovo tutto. Che poi era una mezza balla, gli smadonnamenti nelle ricerche erano all’ordine del giorno, e quindi poi concludeva E poi fatti i cazzi tuoi. Forse era per questo che, ad eccezione di De Filippo, Blutarsky non avesse poi molti amici al Dipartimento. Guardò dove stava accumulando le carte del caso di Miss Lefty e si disse che doveva ordinarle, quelle del caso in corso erano sempre le più ordinate, sempre nella logica dell’Ispettore. Ma prima doveva prendere una birra dal frigo, il caldo lo stava sciogliendo manco fosse il giudice Morton. Attraversò pensieroso l’appartamento, facendo cadere un po’ di cenere della sigaretta in un posacenere passando dalla sala alla cucina. Entrato vide la pila di piatti sporchi della cena. Muovere il corpo aiuta a pensare. E prima di affrontare le lettere l’ispettore ne aveva bisogno. Tornò in sala, staccò il portatile dalla corrente e lo portò in cucina, qui mise su una musica che lo aiutasse a pensare. Poi aprì l’acqua, alle due di notte i vicini lo avrebbero certamente ringraziato. Cominciò prendendo le cose più piccole. Posate: perché Miss Lefty si era suicidata? Non c’erano lettere d’addio, e questo era strano. Alcune lettere strappate nel cestino, ricevute dagli unici tre uomini che ancora, ogni tanto, le davano lavoro e gli unici con i quali aveva dei rapporti umani, per il resto solitudine e rabbia nella sua casa o nel bar dei portuali, sola, a sentire i commenti razzisti, qualunquisti, a riempirsi del vuoto del popolo per il quale aveva cantato con tanta passione. Blutarsky passò poi a stoviglie di dimensioni più grandi, piatti: era certo si fosse suicidata? Ancora non aveva ricevuto rapporto dalla scientifica, non poteva essere sicuro nemmeno di questo. Ma il suo istinto gli diceva di no. Infine passò alle pentole: ma davvero il suo istinto gli diceva di no? Era sicuro del perché si stava imbarcando in una storia che sarebbe potuta essere solo una perdita di tempo? O forse non voleva accettare che Lefty si fosse uccisa? Lei, la donna vera, dura, forte. Lei, la donna che aveva amato. E che un giorno gli disse Anche per te io non sono che quella sul palco. E se ne era andata. L’ispettore sudava, anche dagli occhi. Mise l’ultima pentola sullo scolapiatti, si passò lo straccio sulla faccia, aprì il frigo e prese la birra e prese il primo accendino che trovò per aprirla. Prese al volo il tappo prima che ricadesse e lo buttò nel cestino. Fece un gran sorso, si avvicinò al portatile e con le mani ancora bagnate aprì la cartella dove aveva salvato i file su cui De Filippo aveva trascritto quello che era riuscito a leggere delle lettere che avevano trovato ne cestino della casa di Lefty.
Le lettere erano strappate in pezzi molto piccoli, e quel che vi era scritto si poteva solo intuire, De Filippo aveva fatto un bel lavoro. Al solito. Mixi Gondola giustificava se stesso e lo Smart Energy Loyal che gestiva per non poterle dare più spazio. Lo so che non sei Elisa, e lo sai che penso tu valga di più, ma devo accontentare almeno il pubblico. Lefty, a quel che si capiva, aveva rinfacciato a Gondola di non poter cantare come sapeva, Gondola le diceva che lei sembrava cercare lo scandalo e forse lei gli aveva risposto che a volte dare scandalo era necessario, aggredire gli spazi tra una nota e l’altra, imporre il ritmo, accelerare, arrochire la voce, non poteva non cantare così ma soprattutto non poteva continuare a cantare, edulcorate, le canzoni di quando erano giovani. Lo so che hai nuove canzoni Lefty, diceva Gondola, ma alle gente oggi non piace quello stile, duro, conflittuale, dobbiamo imparare a rivendicare senza urlare. Blutarsky si bloccò, Lefty aveva nuove canzoni? Gondola non gli aveva detto niente, e non era tenuto, forse, ma sicuramente qualcuno le vorrà pubblicare, ora. Blutasrky immaginò il Greatest Hits postumo e cominciò a sentire il formicolio dietro la nuca, quello che sentiva quando stava per chiudersi la vena, quella che permette al cervello di pensare.
Da piccole frasi qui e la che De Filippo aveva ricostruito delle lettere a Nutella, Lefty cercava di prendere le distanze da un uomo innamorato di lei alla follia. Una fitta passò nel cuore di Blutarsky, dopo un anno ancora e ormai senza nessun senso. Nutella era innamorato di immagine. Ripartiamo Lefty, diceva uno dei pezzi più grandi di quelle lettere, io e te come una volta, ti ricordi quando bastava che tu salissi sul palco per fare silenzio, per scacciare ogni paura e credere che la nostra musica avrebbe toccato il cielo?
Poi c’erano quelle di Kranz. Non mi servi solo per i volantini. Diceva un pezzo. Ma cosa vuoi prepararti più di così? Sono arrivati, li abbiamo affrontati, ste merde in divisa. Continuava un altro. Non ti capisco Lefty, forse sei invecchiata e hai paura di stare in certe situazioni, lo capirei.
Miss Lefty. Una donna vera. Una donna con due ovaie così. Perché avrebbe dovuto uccidersi? Lei non lo avrebbe mai fatto. O non lo avrebbe mai fatto la donna che l’ispettore immaginava? Quanti punti di domanda, troppi. Tutti uno in fila all’altro. Blutarsky si alzò e andò alla finestra. Sotto di lui passavano alcune macchine. La luce di un market aperto 24 ore poco più avanti, in lontananza il Carrè, il quartiere della musica, del conflitto, della commistione. Il quartiere dove Miss Lefty era cresciuta e diventata ciò che era. Prese il pacchetto di sigarette, di colpo ricordò. Vide le mani di Lefty e le sue cercare insieme il pacchetto, toccarsi, loro due ridere siamo due tabagisti di merda diceva lui, lei rideva e si accendeva una sigaretta. Perché di merda? Un modo di dire, si giustificava lui. Le parole sono importanti Franek, l’unica che lo chiamasse per nome, se dici di merda vuol dire che non ti piace, non ti va e allora non lo fare. Lui si scherniva dicendole che a volte uno dice delle cose così per dire ed è proprio in quel momento che si svelano i pensieri più segreti o le idee più concrete, lontano dal controllo, quando uno non sta a pensare a quel che gli altri giudicheranno quel che dice. Lui, offeso, le aveva detto che avrebbe smesso e, testardo, lo aveva fatto per un anno, fino a che lei non se ne era andata. Ma prima avevano fatto l’amore. Prima che lei se ne andasse ma subito dopo quella sua risposta testarda, e anche altre volte.
Il pensiero di loro due gli salì in gola. Ancora, dopo così tanto tempo, faceva male. Un anno era tanto o era poco? E ora che era morta aveva senso tutto questo dolore? La odiava a volte. Le aveva detto che sarebbe cambiato, che avrebbe capito cosa lei voleva. Lei rispose che era tardi, che quello non andava spiegato. Lui si era rifugiato in stereotipi sessisti, quando voi donne fate così e via dicendo. Lei si era intristita e se ne era andata. Non l’aveva più vista. Mai più a un suo concerto. Mai più nel Carrè per non incontrarla. Le sue mani. Non le avrebbe dimenticate, e sognava una resa dei conti che non ci sarebbe mai più stata. Le sue mani. Oddio. Le sue mani. La sua bocca. L’ispettore Blutarsky guadava fuori dalla finestra lontano, cercava di guardare nel passato, ma il passato non si può guardare, e insistere nel farlo serve solo a vivere in un tempo che non c’è più. Lo sapeva.
Ti amo.
La voce roca di Lefty invase la stanza. Blutarsky si appoggiò al muro, con la sigaretta all’altezza del viso ma senza aspirare. Si sentì ridicolo in quella posa da ispettore paninaro e si raddrizzò. Ma la voce di Lefty tornò ancora, e ancora. Il formicolio dietro la nuca diventava sempre più forte. Stava per cedere, quando ebbe uno scatto. Era confuso ma aveva già lottato contro la depressione. Quella che non ti fa alzare dal letto, che non ti fa lavare. Era stato De Filippo a tirarlo fuori. Ragazzo, finiscila, tutti abbiamo nu guaio con cui avere a che fare, fare a gara tra le sfortune è da sfortunati, da gente che si piange addosso, non per chi vuole reagire. Gli era servito, aveva reagito. Si era detto che lui era quello che era stato amato non solo quello abbandonato. Così ne era uscito, si insomma, così aveva reagito.
Blutarsky batté un pugno sul muro. Le sigarette non bastavano a calmarsi. Si infilò una camicia, prese le chiavi, il cellulare e, senza pensarci, la pistola e il distintivo. Uscì dall’appartamento al quarto piano e chiuse la porta. Scese le scale e uscì in strada, entrò al market dove, dopo due egiziani, il cinese lo guardò interrogativo.
-Un pacchetto di Lucky Strike-
-Subito Ispettore. Che ci fa sveglio a quest’ora?-
-Lavoro- tagliò corto e uscì.
Fumò una sigaretta mentre si allontanava. Non voleva seminare i pensieri, voleva ordinarli, quindi camminava spedito, senza correre. E pensava. Di colpo si trovò nel Carrè, non ci tornava da un anno. Io non sono solo quella sul palco. La voce di Lefty ancora dentro di lui.
Di colpo un’illuminazione. Non poteva più guardare Lefty come lei avrebbe voluto, ma poteva guardare i luoghi che avevano condiviso come quelli che erano. Alzò lo sguardo. E guardò il Carrè. Quello che doveva essere il quartiere della musica. La musica che era stata ribelle, che aveva aiutato a cacciare il sindaco Benitoni anni e anni fa, che aveva preteso la città cambiasse, migliorasse. Com’era ora? Che quartiere era? Si obbligò a guardare quel che non ricordava. Di colpo cominciò a vedere come il quartiere fosse cambiato.
Arrivato in Congo Square, la piazza che aveva visto i concerti non autorizzati bloccare tutto, fermare la città a volte, a volte resistere alla polizia che voleva interromperli, notò come tutto sembrasse plastificato. Tutto doveva essere apparentemente come allora, non era possibile negare che il Piper Demo Club fosse costruito sulle ceneri del Port Commune, ma cosa era rimasto di quello? Blutarsky gli girò attorno. Si, era sullo stesso posto, ma non lo riconosceva, non che l’avesse frequentato molto, suo padre e sua madre si erano conosciuti li, ma lui era nato tardi e aveva vaghi ricordi, giusto un pessimo Little Eye, che cantava di un cambiamento che non sapeva come spiegare. Poi notò che sempre più parti del Piper Demo Club ricordavano quelle del Demo Christ, un locale che stava molto più verso il centro nel quale si esibivano gli opposti di Lefty, cantanti come Andrew Eight ingessati e tranquillizzanti, narcotici. Che calmavano e invitavano a discriminare chi calmo non poteva starci. O almeno, così pensava Blutarsky, gliel’avevano insegnato i suoi genitori e le migliaia di libri che aveva letto e studiato, libri che tutti i suoi superiori gli sconsigliavano di mostrare e che lui non nascondeva ma non sbandierava. Cosa c’era ora al posto del Demo Christ? Controllò sullo smartphone e tra le crepe dello schermo, che per pigrizia da un anno non riparava, vide che non c’era più.
Dopo la chiusura per fallimento, nei primi anni ’90, i soci si dispersero cercando ognuno alla propria maniera di proseguire quell’esperienza. Ma nessun tentativo riuscì a tornare ai fasti del passato. Oggi una parte dei suoi soci è confluita nel People District of Liberty, l’altra nel Piper Demo Club.
Erano cose che sapeva bene, ma di colpo assunsero un nuovo significato. Riprese a camminare, attorno a lui un po’ di movimento, ragazzi con le bici a scatto fisso e vestiti che probabilmente pretendevano di essere dismessi ma erano costosissimi e barbe lunghe acconciate per sembrare non curate, tutto gli sembrava scimmiottasse gli anni del Port Commune ma mancava qualcosa. Girò l’angolo, qualcosa sul muro del PD Club lo attirò.
-Non era il cuore, non era il cuore, tralalalla tralallaleru, non le bastava quell’orrore, voleva un’altra prova del suo cieco amore-
Un ragazzo con una chitarra stava cantando una delle canzoni preferite di Blutarsky e qualcuno lo stava ascoltando. Pochi in realtà, ma il ragazzo si impegnava come fosse davanti a un intero stadio, ed era anche bravo. E stava sfidando il Piper, non si poteva suonare per strada nel Carrè era legge non scritta imposta dal Piper Demo da qualche anno a questa parte, e realizzarlo ferì in profondità l’Ispettore, che sentì sempre più incalzante la necessità di qualcosa di forte da bere e, perché no, da fumare, quel tuffo nel presente lo stava tramortendo. Il formicolio nella nuca ormai era diventato così forte che l’ispettore in effetti aveva perso contatto con il resto delle persone che aveva attorno ad esclusione di quel ragazzo che cantava, si sentiva come sonnambulo.
-Che cazzo fai!-
Una voce roca, brutta, interruppe i pensieri dell’Ispettore e la canzone del ragazzo, gli spettatori si liquidarono. Lo risvegliò, mai risvegliare un sonnambulo. Si sentì un clonck, o forse lo sentì solo l’ispettore, era la vena che si chiudeva definitivamente.
-Ma niente.. canto-
-Qui non si può aria!- rispose il buttafuori del PD Club e diede un calcio al piattino in cui qualcuno aveva buttato qualche spicciolo.
-Ok! Ok! Calma, mi sposto…- disse il ragazzo chinandosi per raccogliere gli spicci e le sue cose.
-Te ne devi andare fuori dai coglioni!-
-Oh! Calmo…- pam primo schiaffo sulla faccia del ragazzo.
A quel punto a Franek Blutasrky, detto Bluto come un suo lontano zio famoso senatore della Repubblica, si chiusero tutte le vene del cervello e cominciò a camminare verso la scena. Il ragazzo, tramortito cercava di raccogliere la sua roba e di ribattere, pam secondo schiaffo, pam passo più veloce. Pam terzo schiaffo, pam passo molto frettoloso. Quando Blutasrky arrivò nei pressi e venne inquadrato dal buttafuori cercò di sembrare solo uno di fretta, non guardava. Il gorilla lo squadrò per capire. Quando Blutarsky fu a due passi, il buttafuori disse
-Aria dai, anche tu…-
Il gomito di Blutarsky lo colpì in pieno sul naso mentre l’Ispettore lo superava, con tutta la foga di quello che stava realizzando in quel momento, con la forza di tutta la falsità che aveva trovato attorno, e con l’odio di uno che si sente tradito, con il dolore per la morte di Lefty e la rabbia perché lei lo aveva lasciato e lui non se ne era ancora fatto una ragione. Diritto sul naso e poi a terra e a quel punto Blutasrky non capì più nulla. Cominciò a tempestare di calci il buttafuori e quando questo cercava di rialzarsi gli tirava dei pugni in faccia così forte che, dopo, avrebbe avuto le mani così doloranti da non riuscire a chiuderle. Fare lo sbirro almeno gli aveva insegnato a fare a botte, quello e il fatto che era stato uno sbirro di strada. Il buttafuori tirò un calcio da terra a Blutarsky, e riuscì a rialzarsi, ma questo gli si avventò contro di nuovo prese un paio di pugni sulle reni ma gliene assestò un altro paio al mento e poi ancora un paio di calci a terra, non aveva più nessuna vena aperta. Arrivarono altri buttafuori, e Blutasrky usò il suo potere, lasciò perdere il primo, che era una maschera di sangue.
-Polizia!- urlò tirando fuori il distintivo e mostrando la pistola nella fondina sotto l’ascella, era completamente impazzito, rischiava il posto per una scenata del genere.
Gli altri buttafuori si fermarono.
-Prendete ‘sta merda, fate quel che vi pare, non me ne frega davvero niente, ma la prossima volta che vi arrogate il diritto di menare uno che suona per strada, vi ammazzo uno per uno! Chiaro?!-
Si spostò, aveva le mani sporche di sangue, assestò un calcio nello stomaco al buttafuori ancora a terra e una bustina cadde sull’asfalto. Si chinò, la raccolse, ci tuffò il dito e se lo mise in bocca ricoperto di polvere bianca. Bingo, la sua assicurazione.
-Fa pure cagare, a questo punto ve ne andate e mi ringraziate pure per non portarvi via tutti e far chiudere il locale-
-Ispettore, non si allarghi, lo sa che locale è questo?- disse quello che forse era il capo
-Si, tornaci dentro e ricordati che il locale conta, tu non conti un cazzo-
Il malcapitato venne rialzato e portato via, Blutarsky si girò e vide il ragazzo ancora con la chitarra che lo guardava con occhi spalancati.
-Non so se ringraziarla o avere paura-
-Che ci facevi qui?!- Blutasrky aveva ancora l’adrenalina in corpo e spaventò il ragazzo con una domanda che voleva essere sincera ma parse una minaccia.
-Niente… niente, io cantavo..-
La paura del ragazzo fece riaprire qualche vena a Blutarsky
-Scusami. Ma lascia perdere qui, non è posto per suonare- disse di colpo triste.
-Perchè? Dove sta scritto che non posso?-
-Vedi un tempo…- iniziò Blutasrky
-Scusi, Ispettore, ma a me di un tempo non mi interessa niente. Questo è il tempo in cui vivo, e secondo me è giusto che io possa stare qui e ci sto, qui o da un’altra parte devo comunque lottare per avere il mio posto-
Blutasrky di colpo si sentì un idiota con i suoi tuffi nel presente, con il passato, con la rabbia, tutto.
-Hai un pezzo di carta?- chiese al ragazzo e gli lasciò il suo numero di cellulare Non si sa mai disse.